Dario Franceschini a Napoli: «Basta con la stagione dei tagli, con la cultura si mangia»

Dario Franceschini a Napoli: «Basta con la stagione dei tagli, con la cultura si mangia»
di Ugo Cundari
Martedì 26 Aprile 2022, 11:00 - Ultimo agg. 27 Aprile, 10:33
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Fino a pochi anni fa andava di moda la frase «con la cultura non si mangia» (Tremonti dixit), oppure, se qualcuno voleva fare il saccente, citava la sentenza latina «primum vivere, deinde philosophari» ossia, potremmo tradurre, prima bisogna pensare alle cose utili e concrete, poi dedicarsi ai pensieri alti, alle riflessioni profonde, alla poesia, alla cultura. Da un po' di anni a questa parte si è capito che, forse, è più saggio pensare in tutt'altra maniera. Se lo chiede in Con la cultura non si mangia? (La nave di Teseo, pagine 176, euro 18) Dario Franceschini, ministro della Cultura o meglio, come dice di solito lui, «a capo del ministero che presiede la bellezza». 

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Iniziamo dal punto interrogativo del titolo, Franceschini. Con la cultura si mangia o no?
«Lascio al lettore la risposta.

Io, le mie convinzioni le ho, e dimostro con i fatti che investire nella cultura è un punto fondamentale di ogni tipo di strategia economica, indipendentemente dal colore politico del governo in carica. Rispetto alla frase che amava ripetere Tremonti allora ministro dell'Economia, che oggi nega di aver detto quelle parole, siamo tutti consapevoli che la stagione dei mancati investimenti e dei tagli alla cultura è, mi lasci passare il gioco di parole, ormai tramontata».

Eppure il governatore De Luca minaccia di tagliare i fondi al San Carlo, e più in generale alla cultura, viste le emergenze «più importanti» da affrontare.
«Il Massimo napoletano è patrimonio non di Napoli, non della Campania o dell'Italia, ma del mondo intero, e deve avere il sostegno di tutti».

Procida, la nuova capitale della cultura italiana, come può sfruttare al meglio questo riconoscimento?
«Con Procida per la prima volta non ha vinto il titolo un capoluogo di provincia, e anche il fatto che sia un'isola, che non isola, è una novità. Per esperienza posso dire che diventare capitali culturali, di per sé, presenta effetti positivi che durano nel tempo, non si esauriscono nei dodici mesi del riconoscimento. Procida vivrà una stagione di grandi flussi turistici, sarà conosciuta in tutto il mondo, più di quanto già non sia. Deve essere capace di mantenere la sua autenticità, la sua identità, resistendo all'invasione di quelle catene commerciali che uniformano ogni territorio che toccano. Se ce la farà, avrà vinto la sua sfida».

Stessa domanda per Napoli. È tornata meta del turismo di massa, ma cosa fare per non perdere questo primato, per metterlo a sistema, come si dice?
«Continuando a offrire ai turisti un'esperienza unica. Napoli è ricercata perché capitale del turismo esperienziale, quello cioè che cerca l'anima dei luoghi, ciò che li rende diversi, unici. Sono convinto che sarà una delle capitali mondiali del turismo nei prossimi dieci anni, come lo era un tempo. E poi deve tornare ad avere un ruolo di primo piano nel Mediterraneo. In questo senso il 16 e 17 giugno a Palazzo Reale realizzeremo un incontro tra i 25 ministri della Cultura di tutto il Mediterraneo, dalle sponde europee a quelle africane e mediorientali. Le instabilità presenti in quest'area rendono ancora più necessario ogni sforzo di dialogo e collaborazione. È a partire dal nostro vicino più prossimo che dobbiamo farci tessitori di ascolto reciproco e distensione dei rapporti, tramite l'arte, la tutela del patrimonio culturale, la creatività. Una lezione oggi più che mai attuale».

A proposito di Palazzo Reale, a quando il trasferimento della Biblioteca Nazionale nell'Albergo dei Poveri?
«I fondi, cento milioni, sono stanziati. Aspettiamo di avere un piano organico di riorganizzazione di tutto l'edificio. Spero accada presto, perché così gli ambienti di Palazzo Reale non più occupati dalla Biblioteca saranno visitabili dai turisti».

Nel libro accenna anche a un progetto per Pompei e rivendica la scelta dei direttori stranieri dei musei, a cominciare da Bellenger a Capodimonte.
«Pompei al momento è servita da due linee ferroviarie che non sono interconnesse, la Circumvesuviana, con fermata a Villa dei Misteri, e la linea delle Fs da Napoli a Villa San Giovanni, che ferma di fronte al santuario mariano. Le due linee, che al momento non dialogano, si intersecano una sopra l'altra. Al punto di intersezione dovrà esserci una nuova stazione, dove le corse dei due gestori si possono mettere a sistema. Il progetto è definito. Verrà creato un hub ferroviario per entrare direttamente a Pompei, diminuendo anche il traffico delle decine di autobus che arrivano lì ogni giorno».

E Bellenger?
«Lo scelsi tra una terna: è stato uno dei primi stranieri a dirigere un museo italiano importante come Capodimonte, che all'epoca, nel 2015, era in condizioni di gestione disastrose. Quando gli chiesi se se la sentiva di accettare quasi glielo sconsigliai. Mi rispose di essere un predestinato per Napoli, perché proprio a Capodimonte, in una lontana estate del 1980, da giovane insegnante di filosofia in vacanza, di fronte alla Crocifissione del Masaccio, folgorato dalla sindrome di Stendhal, decise di mollare tutto per studiare storia dell'arte. E sta facendo benissimo, come Giulierini al Mann». 

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