Don Riboldi e i suoi ragazzi: da Acerra la prima sfida alla camorra

Don Riboldi 1923-2023. Il coraggio tradito, ecco il libro di Pietro Perone

Una foto storica di don Antonio Riboldi, che tra due mesi avrebbe compiuto cento anni
Una foto storica di don Antonio Riboldi, che tra due mesi avrebbe compiuto cento anni
di Antonio Menna
Lunedì 7 Novembre 2022, 07:00 - Ultimo agg. 9 Novembre, 12:54
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Non è la storia di don Antonio Riboldi, che tra due mesi avrebbe compiuto cento anni. E non è neppure la storia del Movimento degli studenti contro la camorra, che quest'anno compie 40 anni. È tutt'e due le cose insieme, perché è così che si forma la memoria, mescolandosi continuamente, unendo i fili, e cercando, come dentro un mosaico, di consegnare a chi legge un senso. Non fa né la cronaca né la ricerca, questo libro denso di fatti, di sensazioni, di documenti e di sguardi. Compone un vero diario della memoria di uno dei periodi più bui e al tempo stesso più fervidi, più intensi, della nostra terra: gli anni 80, la guerra di camorra tra i cutoliani e la Nuova famiglia, il sussulto civile degli studenti del Movimento con la prima assemblea ad Ottaviano, nel cortile di una scuola, il 12 novembre del 1982.

Si legge come una cronaca, ma lascia i sapori della grande storia, il libro di Pietro Perone, caporedattore de «Il Mattino», ma soprattutto, quarant'anni fa, testimone diretto di quel movimento di ragazzi delle superiori, che rimane una fiammata unica nelle vicende del territorio e che merita di essere sottratto a quei bassifondi della dimenticanza dove, chissà perché, andiamo a depositare soprattutto i nodi irrisolti, non le sconfitte ma il lento consumarsi nel nulla. Si intitola Don Riboldi 1923-2023. Il coraggio tradito (con inserto di foto storiche, alcune inedite) in libreria da giovedì questo volume di cui pubblichiamo un'anticipazione che, in realtà, alla biografia a maglie strette del celebre Vescovo di Acerra dedica uno solo dei suoi 14 capitoli, mentre la sua figura, il suo ruolo, la sua tonaca nera come quella di un prete all'antica, la sua sagoma alta, magra e nervosa, corre lungo tutto il libro, e lo permea, nel bene e nel male, nel desiderio di riscatto e nella sconfitta, nella voce alta e nel tramonto del «povero Vescovo».

Comincia, il libro, delineando lo scenario, che è condizione indispensabile per capire poi le connessioni. In quale Italia irrompe la grande marcia degli studenti napoletani contro la criminalità organizzata? In quale Napoli arriva questo gruppo di ragazzi che si mette insieme e pronuncia ad alta voce la parola camorra? «Non e solo l'anno dell'epica vittoria italiana ai mondiali di calcio o della partenza dei soldati italiani per il fronte del Libano», scrive Perone nel primo capitolo del suo libro, «la prima volta dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Il 1982 è anche l'anno della seconda guerra di mafia scatenata in Sicilia dai corleonesi di Toto Riina e della faida tra la Nuova Camorra Organizzata (Nco) di Raffaele Cutolo e la Nuova famiglia, l'alleanza dei boss avversari del padrino di Ottaviano. Nel Napoletano non c'e giorno senza che la lista dei delitti diventi più«lunga, 284 in dodici mesi». Si uccidono tra di loro, si sente ripetere. Ma ci sono due tensioni destinate a incrociare le loro strade. La prima è quella di questo sacerdote rosminiano, nato in Brianza, parroco per dieci anni in Sicilia, con le mani dentro le ferite del terremoto del Belice. E portando i bambini di Santa Ninfa a Roma, a denunciare i ritardi della ricostruzione, prima da Aldo Moro (capo del governo), poi da Giovanni Leone (presidente della Repubblica), poi da papa Paolo VI, guadagna una visibilità nazionale. «Santità», dice il giovane prete al Papa, «se quello che sto facendo è sbagliato, me lo dica. Se vuole che taccia, io taccio...». Il Pontefice, per tutta risposta, lo vuole vescovo e lo manda ad Acerra, nel napoletano. Qui non può non inciampare nella camorra. «Il nostro don Antonio», scrive nella prefazione al libro l'attuale vescovo di Acerra, Antonio Di Donna, presidente della Conferenza episcopale campana, «è stato un profeta in senso biblico, perché ha dato speranza a un popolo, aiutandolo ad alzare la testa». 

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Così don Riboldi incrocia l'altro grande protagonista del libro di Perone: gli studenti di Napoli e dell'area metropolitana in lotta contro la camorra. Cominciano quelli della sezione distaccata del liceo Caccioppoli di Napoli, con un'assemblea infiammata proprio da don Riboldi, che fa una vera chiamata alle armi contro i clan. Pochi giorni dopo, si attivano altre scuole della provincia, e l'organizzazione giovanile del Pci, quella Fgci, fucina dei dirigenti del futuro della sinistra italiana. Arrivano anche studenti palermitani a loro volta in mobilitazione dopo i delitti eccellenti di mafia del 1982 (La Torre, Dalla Chiesa). E qui il racconto di Perone si fa in presa diretta: lui era uno di quei ragazzi. Così può ricordare le sigarette fumate, le parole dette, le sensazioni nascoste, le paure sommerse, le fatiche, le passioni, le prime contraddizioni. Cinquemila studenti a Torre del Greco, insieme agli operai. Altri ad Afragola, Giugliano, poi Pagani. Infine, la marcia di Ottaviano, il 17 dicembre 1982. La marcia delle marce: c'è Bassolino, giovane segretario regionale del Pci, c'è Luciano Lama, segretario generale della Cgil. E su tutti lui, don Antonio Riboldi, ispiratore, guida, prima fila. «Mafia, camorra, non passerete. Contro di voi studenti e operai», è lo slogan. La storia del movimento continua così, con un racconto incalzante, che viaggia verso l'alto e verso il basso, i ragazzi di Acerra e Berlinguer, gli studenti napoletani e Craxi. Il centro e la periferia, e poi il declino. «Quella del movimento anticamorra», scrive Perone, «resta una straordinaria esperienza di mobilitazione, senza riuscire però a contagiare negli anni il resto d'Italia». Manca il salto di qualità. La storia prende la sua strada, quei giovani diventano grandi mentre don Riboldi non smette di far sentire la sua voce, entrando anche in altri capitoli controversi, tormentati: negli anni della «trattativa» siciliana ce n'era una simile anche nel napoletano. Boss che vogliono consegnare le armi: tentativi, sospetti. Siamo a metà degli anni Novanta, ormai; incombe la stagione dei veleni, quelli veri. Inquinamento, Terra dei fuochi, nuovi volti della devastazione. Don Riboldi non si tira indietro, continua a tuonare anche da «pensionato», ma la spinta è esaurita. Quel coraggio sembra tradito. «Povero vescovo», conclude amaro Perone, «odiato, poi rispettato e infine rincorso dai camorristi; amato e preso in giro da una misera politica senza piùneanche un briciolo di memoria». Ma la memoria ora è qui, in questo libro. «Ci sono due tipi di uomini: quelli che fanno la storia e quelli che la subiscono», scrive il premio Nobel per la letteratura, Camilo José Cela.

Don Riboldi e quei ragazzi di Acerra l'hanno fatta, la storia. E questo libro la racconta tutta. 

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