Don Riboldi, il coraggio del vescovo anticamorra: presentato a Napoli il libro di Pietro Perone

La presentazione del libro nella Chiesa di Portosalvo
La presentazione del libro nella Chiesa di Portosalvo
di Emiliano Caliendo
Mercoledì 23 Novembre 2022, 22:26 - Ultimo agg. 24 Novembre, 07:30
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All’interno della Chiesa di Santa Maria di Portosalvo, gioiello architettonico di età barocca da poco riaperto al pubblico, si è tenuta la presentazione del libro "Don Riboldi (1923-2023) - Il coraggio tradito" del giornalista Pietro Perone, con gli interventi di Salvatore Fratellanza, presidente del Comitato di Gestione delle Arciconfraternite Commissariate della Diocesi di Napoli, di Don Tonino Palmese, presidente della Fondazione Pol.i.s., di Paolo Siani, consigliere della Fondazione Giancarlo Siani e del giornalista Massimo Milone. Le conclusioni del dibattito sono state affidate a monsignor Antonio Di Donna, presidente della Conferenza Episcopale della Campania.

Don Antonio Riboldi, arcivescovo di Acerra, morto nel 2017, è stato una delle figure di primo piano della Chiesa italiana impegnate nel contrasto alle mafie, in particolare nella lotta alla camorra negli anni della faida sanguinaria tra la NCO di Raffaele Cutolo e i rivali della cosiddetta Nuova Famiglia. In grado di riunire i suoi fedeli ma soprattutto migliaia di giovani studenti provenienti da tutta la Campania e pezzi della sinistra di allora (il Pci e la Cgil) nel nome dei valori della legalità contro ogni connivenza mafiosa, la figura di Don Riboldi viene analizzata attentamente nel libro di Perone.

L'autore, caporedattore de Il Mattino, ha spiegato dapprima l’origine del titolo: «Ci sono due ricorrenze: i 40 anni dalla prima marcia anticamorra, capeggiata da Don Riboldi e poi il centenario della sua nascita. Il titolo continua con il sottotitolo “Il Coraggio tradito”, perché molte delle cose che furono dette in quella stagione di speranza sono state poi tradite dalla politica. Questa doveva creare le condizioni affinché quel coraggio avesse un seguito e si creassero le condizioni di una rinascita sociale che purtroppo non c’è stata. A 40 anni di distanza assistiamo ad una recrudescenza del fenomeno camorristico».

 

Leggere queste pagine servirà quindi soprattutto a chi, vivendo in contesti in cui il fenomeno camorristico e mafioso è ancora ben radicato, decide di non abbandonarsi ad un arrendevole disfattismo, immobilizzato dalla paura o dalla malcelata convinzione dell’impossibilità di ogni cambiamento positivo. «Spero – è l'auspicio di Perone - che il centenario serva soprattutto a raccontare quest’uomo di Chiesa, ma anche un eroe civile, di cui in questi anni si è affievolita la memoria. Don Riboldi per una generazione di persone, quelli della mia età, ha rappresentato un punto di riferimento ma soprattutto ci ha insegnato ad avere coraggio. La speranza è che questo libro possa soprattutto servire ai ragazzi a conoscere questo protagonista della storia non solo della Campania ma del Paese per 50 anni; e a capire che ci si può ribellare ai poteri criminali e quindi seguire un po’ l’esempio che lui ci diede all’epoca».

E se oggi qualche passo in avanti è stato fatto nella lotta alla camorra, è altrettanto vero che la strada da percorrere per dirla sconfitta è ancora lunga. Serve quindi maggior impegno da parte delle istituzioni e da parte di quella Chiesa, che, come si legge nel libro, grazie all’impegno del parroco brianzolo produsse uno dei primi documenti, firmato dagli arcivescovi campani, intitolato “Per amore del mio popolo non tacerò”. Un grido poi ripreso da Don Peppe Diana a Casal Di Principe e che costerà la vita a quest'ultimo. «La politica – sottolinea Perone - è rimasta piuttosto identica rispetto a quarant’anni fa. Spesso promette poi mantiene poco. Anche da parte della Chiesa ci sono stati dei passi indietro in alcuni settori, soprattutto di periferia. Però la Chiesa è in campo più della politica. C’è poi una rete che parte dal basso, composta anche dalle singole parrocchie. È mancato però alla Chiesa un personaggio come don Riboldi in grado di parlare oltre i suoi confini, oltre il proprio mondo. Questo andrebbe recuperato perché Don Riboldi oltre a essere un uomo di Chiesa era anche un grande comunicatore.

Uno che riusciva a rompere gli argini del mondo cattolico, parlando a tanti. È stato il primo vescovo che è salito sul palco insieme al partito comunista e al sindacato di sinistra che era la Cgil ad Ottaviano con Luciano Lama che era il segretario generale».

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Cosa resta dunque di quell’Acerra, ridestata da quel Don Riboldi appena arrivato dal Belice – dove ancora oggi è ricordato il suo impegno a favore dei terremotati del 1968 – e nella quale si omaggiavano talvolta i boss locali in occasione delle processioni alla Madonna e della festa e dei Santi Patroni Cuono e Figlio. «L’Acerra di oggi – avverte l’autore - è molto diversa rispetto a quella che trovò Don Riboldi. Vive problemi diversi ma forse più drammatici. Don Riboldi trovò un paese dove la camorra era dominante. Credo lo sia in larga parte ancora oggi ma non era un paese avvelenato. Oggi è soprattutto un paese avvelenato. E da questo punto di vista c’è un rammarico: la generazione che si ritrovò intorno a lui, si è distratta quando iniziava il grande inquinamento. Pensavamo che i camorristi sparassero soltanto, come nel 1982 con 284 morti in un anno, e quei camorristi furono poi anche grazie alle marce in qualche modo sgominati. Cutolo e i suoi avversari furono poi sgominati. Non capimmo che nel frattempo avevano cambiato volto, indossando giacca e cravatta e cominciando a fare affari. Divennero le ecomafie in cui loro stessi sono nati e vivono».

Vivo il ricordo del vescovo anticamorra anche nella mente di monsignor Di Donna, attuale arcivescovo di Acerra: «Don Riboldi è stato anzitutto un pastore, un vescovo, che ha guidato il suo popolo. Un difensore della città come gli antichi vescovi. Poi è stato un anche un profeta perché ha saputo dare speranza ai poveri, denunciando le ingiustizie e impegnandosi per il bene. E poi è stato l’artefice concreto, pratico, si è messo a capo di un popolo perché questo, come dice il Vangelo, era “pecore senza pastore”. Lui ha avuto coraggio in tempi difficili di gridare ed educare il popolo ad alzare la testa e a rivendicare la sua libertà e i suoi diritti».

Una vita, quella di Don Antonio - come lo chiamavano i suoi fedeli - che possa fungere da esempio ancora oggi. Lo evidenzia Don Tonino Palmese che presiede la fondazione Polis: «Questo libro è la biografia di un credente militante. Un modo per dire che Don Riboldi ha dato la possibilità alla Chiesa italiana, e campana in particolare, di comprendere da che parte stare. Catalizzando attorno al suo messaggio e alla sua testimonianza i sogni e le speranze di tante persone. In modo particolare i giovani di quel tempo che non avevano nessun riferimento, se non al di là di una politica forse un po’ impaurita. Quei giovani non avevano nessun riferimento per intraprendere un cammino di liberazione di quei territori e trovarlo in un vescovo, al di là dei motivi confessionali, è stata un’occasione propizia per ristabilire la bellezza del messaggio evangelico su questi territori».

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