Eduardo De Filippo, vanno all'asta i suoi mobili e quadri

Eduardo De Filippo, vanno all'asta i suoi mobili e quadri
di Titta Fiore
Venerdì 11 Ottobre 2019, 07:57 - Ultimo agg. 15:12
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Ci sono le «nature vive» di Aniello Ascione, tre dipinti di diversa dimensione che rappresentano, con la turgidezza barocca dei frutti pennellati, la parte più importante della selezione. Ci sono i quadri di scuola napoletana sul gioco delle carte, la merenda e l'arte della conversazione che erano particolarmente cari al gusto dei Eduardo. Ci sono le imponenti torciere in bronzo con fusto decorato alte quasi due metri provenienti dal San Ferdinando. Il servizio di posate per trentasei in vermeille che si usava, come in tutte le abitazioni della borghesia napoletana, nelle occasioni importanti e che l'obiettivo di Fabio Donato immortalò in una celebre fotografia scattata nella casa di Posillipo nel 1976, durante un pranzo organizzato dal drammaturgo e da sua moglie Isabella Quarantotti per spiegare alla regista norvegese Kirsten Sorlie le atmosfere della commedia «Sabato, domenica e lunedì» rappresentata in tutta Europa: e intorno a quella tavola imbandita con le porcellane bianche di Doccia erano seduti, con il «direttore» e i suoi ospiti stranieri, un giovane Luca De Filippo, Pupella Maggio, Paolo Ricci e Raimonda Gaetani. Un pezzo di teatro italiano.

 

Ci sono due altissime sculture portalampade in legno decorato (cm 225, specifica la descrizione) e tredici piatti di ceramica con le maschere della Commedia dell'Arte, omaggio alla tradizione nobilissima del palcoscenico. Ecco l'irrinunciabile Contadina del presepe napoletano con il volto e le mani in terracotta e l'abito di raso intessuto con il filo d'oro. E le due angoliere di mogano intarsiate di madreperla e bronzo custodi di copioni e manoscritti. Tracce di vita e di lavoro di Eduardo De Filippo, l'artefice magico.

Saranno battute all'asta, queste testimonianze del gusto e dell'esperienza quotidiana di uno dei più grandi uomini di teatro del Novecento europeo, nelle sale di Palazzo Crivelli a Milano il 22 ottobre. Tommaso De Filippo, il figlio architetto di Luca oggi a capo della Fondazione di famiglia, racconta che oggetti e mobili provengono dalle case abitate nel corso del tempo da Eduardo a Napoli, a Roma in via Aquileia e nel buen retiro di Velletri e che alcuni pezzi (in tutto sono una quarantina) giacevano impolverati in un capannone. «Io e i miei fratelli abbiamo preso questa decisione non certo per sbarazzarcene» dice, «ma perché lo stile di mobilio non rispecchia i nostri canoni estetici del momento. E così, invece di cedere alla tentazione dell'accumulo, abbiamo pensato che sarebbe stato bello se avessero trovato nuovi proprietari capaci di amarli e di restituirli alla vita in spazi adeguati, invece di lasciarli sottochiave coperti da un lenzuolo, come eravamo costretti a fare».

Nel catalogo curato dalla casa d'aste milanese Il Ponte (con la responsabile arredi, oggetti d'arte e sculture Valeria Agosto) la curatrice delle biblioteche e degli archivi di Eduardo e Luca De Filippo e di Francesco Rosi, Maria Procino, racconta dell'attenzione del grande drammaturgo per la tutela e la salvagurdia della memoria. «Comprò le macerie di un teatro antico e lo ricostruì offrendolo alla sua città. Pochi sanno che il giorno dell'inaugurazione lo arricchì di quadri, statue e mobili antichi che, per l'occasione, aveva fatto portare dalla sua casa romana e da quella napoletana». Qualche oggetto che ora figura in asta, spiega, Eduardo lo aveva immaginato proprio per i suoi spettacoli, degli altri amava circondarsi nella tranquillità della vita domestica: lo scrittoio in stile Boulle con le alzate e i cassetti, per esempio, dove metteva a punto i suoi testi, fa parte dei ricordi di Tommaso bambino, poi le sculture in marmo bianco, come la «Madre» di Achille Alberti, o le statuine in bronzo dorato di Sette-Ottocento e gli antichi orologi da tavolo in marmo e legno intarsiato. Gli piacevano i mobili e gli oggetti speciali recuperati nei negozietti o in vecchi teatri ormai distrutti. «Come raccontava in un libro, nei momenti liberi si divertiva a fare il giro degli antiquari di Costantinopoli e di Cappella Vecchia e dei saponari dei paesi vicini» testimonia ancora Maria Procino: «Ogni mobile, ogni oggetto dunque, evoca i sentimenti di chi ha vissuto tra quelle mura, i piccoli segreti del suo proprietario, riconoscendo l'autore nelle sue scelte, nel vivere la sua casa arredandola con pezzi trovati nel caotico retrobottega di un rigattiere». E già il solo immaginare Eduardo a spasso per mercatini, nei vicoli del centro storico, dà il senso di una stagione irrimediabilmente bella e perduta.
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