Scavi di Pompei, guerra (di potere) in nome dell'archeologia

Scavi di Pompei, guerra (di potere) in nome dell'archeologia
di Maria Pirro
Martedì 23 Febbraio 2021, 10:30
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Forse è soltanto il pretesto per riaccendere la guerra tra archeologi. Una guerra sotterranea, che va avanti da anni, tra progetti e scuole diverse. Gabriel Zuchtriegel, appena nominato alla guida del Parco archeologico di Pompei, è un professionista di quasi 40 anni (il 24 giugno), di origine tedesca, che a Paestum ha fatto un «lavoro incredibile». Lo ha scelto innanzitutto per questo il ministro Dario Franceschini.

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È lui, l'ex direttore straniero (da luglio 2020 con cittadinanza anche italiana), uno dei volti della rivoluzione nella gestione di luoghi di straordinaria bellezza ma oscurati dal degrado. Tra quelli che hanno assunto un ruolo centrale nelle politiche culturali, incarna perfettamente il nuovo che avanza. Difatti, Zuchtriegel spinge sui grandi numeri in biglietteria (a Paestum 74mila ingressi tra gennaio e settembre, rispetto a 138mila dell'anno precedente; mentre a Velia, in piena pandemia, l'incremento è stato del 59 per cento). E sui grandi eventi: l'ultimo con il maestro Riccardo Muti sul podio. Frena, invece, sulle attività di scavo: «Non sono la priorità», ha dichiarato al Mattino, nell'intervista a Ugo Cundari, subito dopo aver ricevuto l'incarico. Proprio quando si sono dimessi due componenti su quattro del consiglio scientifico, l'archeologa esperta di pittura pompeiana Irene Bragantini, di nomina ministeriale, e Stefano De Caro, nominato dalla Regione, già sovrintendente per i Beni Archeologici per le province di Napoli e di Caserta e per i Beni culturali e paesaggistici della Campania. «Pompei che merita il meglio in termini di esperienza», la loro visione. Così la battaglia diventa anche generazionale. Con l'Associazione nazionale archeologi sul fronte opposto e Nico Perrone che nell'editoriale su Dire si schiera: «Spazio alle idee e ai lavori per i giovani, parchi, panchine e bei cantieri da guardare per gli anziani». Ma è il modello stesso che viene contestato dall'archeologo e presidente del Fai, l'83enne Andrea Carandini, nella lettera pubblicata ieri sul Corriere della sera. Attraverso una critica severa, segnala le 1500 case ancora ignote, tutte da studiare, come il vero patrimonio da valorizzare. E l'accusa non può che essere rivolto anche al direttore uscente, Massimo Osanna, che dopo sette anni ha lasciato Pompei per approdare al vertice della direzione Musei del dicastero, ma ha già annunciato l'intenzione di continuare a seguire il Parco archeologico.

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Con i concorsi aperti a candidati non italiani (che hanno portato anche Eike Schmidt alle Gallerie degli Uffizi e il francese Sylvain Bellenger per un altro mandato al Museo e al Bosco reale di Capodimonte, e già motivo di polemiche e ricorsi giudiziari), il professore di archeologia della Federico II è un altro simbolo del cambiamento ricercato da Franceschini sin dal suo primo mandato. Del rinnovamento perseguito con il piano di cancellazione delle 17 soprintendenze archeologiche in tutta Italia, accorpate a quelle che tutelano il paesaggio e le belle arti. Con uno spezzettamento dei centri decisionali, in particolare a Roma, e la creazione di musei e siti autonomi.
Inevitabile, la guerra anche di potere. Nemmeno troppo sotterranea. Basta ricordare che il ministro Alberto Bonisoli, subentrato a Franceschini prima del bis, ha presentato una controriforma per il riaccentramento, poi rimasta in bozza, dando un maggiore peso da restituire alle strutture romane e l'istituzione di una direzione Contratti e concessioni che, oltre una certa spesa, sarebbe stata chiamata a bandire gare d'appalto per i vari siti (compresi Uffizi, Pompei, Colosseo). E, di litigiosissimo corporativismo, parla - nell'introduzione al libro di Luca dal Pozzolo, Il patrimonio culturale tra memoria, lockdown e futuro - il predecessore di Osanna alla direzione dei Musei, Antonio Lampis.

Che oggi difende Zuchtriegel. La guerra nei palazzi (oltre Pompei) continua. 

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