«Ho scelto due brani che rappresentano un po' le mie passioni e descrivono la stessa temperie culturale, la Classica di Prokofiev e Ma mère l'oye di Ravel, questa musica va fatta e rilanciata». Gabriele Ferro racconta così il concerto con l'orchestra del San Carlo registrato nei giorni scorsi che il teatro proporrà in streaming a maggio.
Un concerto dedicato a grandi musicisti del primo Novecento che, al momento, è l'ultimo appuntamento sancarliano programmato per il maestro di origini siciliane ma napoletano d'adozione, dal 1999 al 2004 direttore musicale del San Carlo e sempre presente anche nelle stagioni successive fino a un recente «Flauto magico» in forma di concerto.
Maestro Ferro, ha sempre un bel rapporto con l'orchestra?
«Sono pochi quelli che erano nel gruppo ai miei tempi. Ma c'è un insieme di musicisti di primissimo piano che ho seguito negli anni, con la guida Valcuha sono ulteriormente maturati. È molto evidente nel concerto che abbiamo registrato. Brani di grande raffinatezza ed espressività in cui le prime parti, ma non solo, sono molto esposte e chiamate ad esprimere equilibrio e colori senza sbavature. I musicisti hanno dimostrato una dote rara: a differenza di molti altri loro colleghi studiano la parte prima di presentarsi alle prove, e non è poco».
Non c'è in calendario il ritorno in città, ma il suo legame con il San Carlo e con Napoli resta saldo?
«C'è da dire che il mio legame forte con Napoli parte da mio padre che aveva studiato violino e composizione al San Pietro a Majella. Io iniziai a frequentare Napoli ai tempi dell'Orchestra Scarlatti Rai da me diretta frequentemente dal 1965 fino alla chiusura nel 92. E da quel periodo bellissimo e fecondo di iniziative si è creato con la città un rapporto molto particolare che poi si è consolidato al San Carlo, un luogo dove senti che è passata la storia della musica».
A Napoli lei ha firmato tanti spettacoli memorabili, a partire dal dittico del 2001 «Perséphone» e «Oedipus Rex» con Isabella Rossellini e Gérard Depardieu portato anche al teatro di Epidauro, in Grecia, alle opere realizzate con il contributo di celebri artisti contemporanei come la «Turandot» con la regia di David Hockney o l'«Elektra» su scene di Anselm Kiefer.
«In effetti ho sempre pensato che bisognasse conoscere la musica del Novecento e quella che oggi definiamo contemporanea: si deve sapere cosa è successo in questa epoca per collegarsi meglio con il passato, purtroppo oggi non sempre i giovani approfondiscono questi repertori».
Non a caso dunque ora ha scelto di puntare su Ravel e sulla Sinfonia n.1 di Prokofiev.
«Sì, un musicista russo che come Stravinskij era vicino al neoclassicismo anche se non allo stesso modo. L'autore del Pulcinella aveva maturato a tal punto la lezione del Settecento napoletano da riscrivere Pergolesi pietrificato come un fossile».
Lei è anche compositore. Le sue opere risentono delle atmosfere di questo Novecento storico?
«Certo. Forse già negli anni Sessanta ero troppo avanti perché ero arrivato a proporre una musica rarefatta che non aveva più riferimenti con la cultura occidentale. Ma in generale ho favorito certe operazioni di svecchiamento nei teatri da me guidati, da Stoccarda a Palermo e a Napoli. Ho sempre cercato di riproporre rarità, puntare su un'idea».
E oggi?
«Oggi purtroppo si pensa solo ai divi, ai grandi nomi, non a costruire in teatro una struttura di base solida, capace di affrontare certe sfide con il repertorio di ieri e di oggi. E non si dica che è colpa della pandemia. Ho l'impressione purtroppo che si tenga in poco conto la cultura, che manchino importanti figure di riferimento. Ma non parlo solo di Napoli, in tutta Italia è così».
Intanto, da ieri i dipendenti del San Carlo sono entrati tutti in cassa integrazione, Fis la dicitura tecnica, sino al 17 aprile. Il teatro, praticamente, è chiuso.