Pisani, che voleva pittare almeno fino a cent'anni

Pisani, che voleva pittare almeno fino a cent'anni
di Pasquale Esposito
Sabato 7 Maggio 2022, 08:08 - Ultimo agg. 18:14
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Agli amici che desideravano fargli un regalo per i suoi 80 anni, chiese di portargli in dono pennelli e colori, «perché voglio pittare per almeno altri vent'anni». E Gianni Pisani (Napoli, 20 marzo 1935) ha continuato a «pittare» (era un suo vezzo, un omaggio alla lingua napoletana, quasi mai ha usato il verbo «dipingere») fino a quando ha potuto, mentre attorno a lui se ne andavano i colleghi a cui lo avevano legato armonie e disarmonie, da Armando De Stefano a Mario Persico.

Pisani ha lottato, ha resistito, continuando - finché ha potuto - a «pittare» nel suo studio («Nemmeno Picasso ha avuto un atélier così grande») al Palazzo dei principi di Montemiletto al corso Vittorio Emanuele, fin quando il fisico, stremato dai malanni degli ultimi tempi, ha ceduto. Si è spento all'alba di ieri, assistito dalla moglie, la danzatrice e coreografa Marianna Troise, a 87 anni. In prime nozze, aveva sposato la pittrice Mathelda Balatresi, altro nome di rilievo della scena artistica partenopea, dalla quale aveva avuto l'unico figlio, Marcello, ingegnere e designer.

Pittore, scultore, performer, docente, direttore dell'Accademia di Belle Arti di Napoli che rilanciò tra il 1984 e il 1998, docente a Brera, organizzatore di eventi (come «Le questioni dell'arte» ad Anacapri, con Gillo Dorfles; la «Galleria Inesistente»; due edizioni di una «Biennale del Sud»), Pisani era fiero delle sue radici: «Vivere a Napoli», diceva spesso, ripetendolo anche in occasione della bella mostra al Pan, con cento opere esposte, nel marzo del 2016, «è stata una scelta. Napoli è una contraddizione fatta città. Non esiste un luogo che abbia tante facce così diverse tra loro. Mi dicono che New York le somigli, ma ci sono stato poco e non sono riuscito a capirlo. Quello che è certo è che Napoli ribolle, si sente che siamo seduti su un magma, che l'energia che sta sotto si riconosce nel temperamento dei napoletani, in tutti gli aspetti, dai camorristi ai grandi pensatori».

All'inizio degli anni 60 la critica d'arte Lea Vergine lo definì «portatore di traumi». «Sono un pittore di pancia, seguo l'istinto, non mi piace preparare i bozzetti: faceva così anche Giotto», spiegava lui a proposito della sua produzione copiosa, fedele al suo tono polemico, al piglio da guascone, da eterno ragazzo, pronto a farsi perdonare con una battuta. La sua creatività ha attraversato stili e correnti dal Novecento ai giorni nostri: i suoi quadri brillano di una pennellata piena, dalla coloritura forte e nel contempo delicata.

Un «pittore autobiografico», certo: nei suoi quadri non solo la luce e la solarità di Napoli, e di Capri, ma anche il suo vissuto, gli affetti, i genitori, i familiari, gli amici, gli amati gatti: «Sinco» il preferito e più riprodotto. Mondrian il maestro dichiarato in un rapporto ondivago con le correnti attraversate: pop art, new dada, body art. Per lui, anche scultore, «pittare» era gesto audace, creativo, dissipante e importante prima e a prescindere dall'opera che ne sarebbe nata. «Pittare» era liberazione dalla vita quotidiana, ribellione alla routine, ponte verso il mondo della memoria e dei sogni.

Espressionista, ha «pittato» il sesso, la vita, la morte. Il percorso per ritrovarsi con l'arte di Pisani a Napoli si snoda tra il museo di Capodimonte («Il letto», 1963), il Madre (una sala dedicata a lui), la chiesa di Santa Maria della Sanità («Madonna della Sanità», con la Vergine che ha il volto della madre dell'artista e il Bambino quello del pittore, «L'ultima cena» e «Venuto da noi», «pittato» per l'arrivo di Ratzinger in piazza del Plebiscito), il museo del Novecento a Sant'Elmo («La pistola d'argento», «Tu mi hai rubato la luna», «Volevo stare nel bosco»), l'Accademia di Belle Arti («Il dondolo»), Santa Chiara («Via Crucis, via Lucis»)), la stazione del metrò dell'arte di Salvator Rosa (grande mosaico esterno in vetrocolor), e quella di piazzale Tecchio della linea 6, che ospita il ciclo - 36 opere - di «Suicidio in scatola», tra le sue opere più note. Manca in questo elenco la «Grande tartaruga», il dipinto di 10 metri x 5 realizzato per il Turtle Point dell'ex Italsider e annegato, cosa che aveva molto amareggiato il maestro, nel mare del nulla di Bagnoli Futura.

Punto di riferimento di Gillo Dorfles a Napoli, ha frequentato Carlo Alfano, Luigi Carluccio, Edoardo Sanguineti, Pierre Restany, Lea Vergine, il poeta russo Eughenji Evtuscenko, Mimmo Jodice, Mario Franco, Antonio Bassolino, Nicola Spinosa... Oggi alle 11 i funerali nella chiesa di Santa Maria della Sanità, tra le sue opere.

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