Giorno della memoria, Willy il partigiano fucilato e dimenticato dalla sua Napoli

Giorno della memoria, Willy il partigiano fucilato e dimenticato dalla sua Napoli
di Pietro Gargano
Giovedì 27 Gennaio 2022, 11:00 - Ultimo agg. 18:42
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Un'ora prima di morire trovò il tempo di incidere con uno spillo, nella sua Bibbia tascabile: «Non piangetemi, non chiamatemi povero; muoio per aver servito un'idea». Trovò il tempo di scrivere due biglietti per la moglie Lucilla e di infilarli in una tasca, prima di avviarsi verso il plotone di esecuzione. C'era scritto: «Dio vi benedica e vi guardi. Ci rivedremo certo lassù. Bacia i bimbi per me, sii forte per loro» e «Mio amore caro, temo non ci sia più speranza. Sia fatta la volontà di Dio. Avrò fede fino all'ultimo. Sono sereno, Dio mi conforta. Sono certo tu pure troverai in Dio le consolazioni, Penserò sempre a voi». Firmato «il tuo Willy». La scarica crepitò nella notte tra il 5 e il 6 agosto 1944 a Villar Pellice, Torino. Quel sangue non bastò ai carnefici tedeschi, che impiccarono il corpo senza vita e lo lasciarono appeso come monito alla popolazione. 

Guglielmo Jervis detto Willy è un eroe di cui si è persa la memoria.

Dimostrò che una solida fede non è inerte preghiera ma lotta al tiranno. Provò che si può fare politica cercando ciò che unisce e non ciò che divide. Tentò di difendere l'interesse collettivo. Era nato a Napoli il 31 dicembre 1901. da genitori di origine inglese. Suo padre, ingegnere, veniva da una famiglia di navigatori. Willy fu educato alla fede evangelica valdese. Compì il servizio militare da sottotenente di complemento. Congedato nel 1926, si laureò in ingegneria e lavorò in Italia e in America. Nel 1936 fu assunto dalla Olivetti di Ivrea. Diresse il reparto delle macchine per scrivere, ebbe il controllo della produzione, fu direttore della scuola apprendisti. 

Si era tenuto distante dalla politica, pur essendo antifascista. Dopo il 25 luglio 1943, venuto il momento delle scelte, divenne dirigente del Partito d'Azione. Fondò in fabbrica un comitato interpartitico per la lotta al nazifascismo. Prese parte alla creazione del Movimento federalista europeo. 

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Subito dopo l'armistizio si unì ai partigiani in Val d'Aosta, nelle formazioni di Giustizia e Libertà. Mise a profitto l'abilità di scalatore e la conoscenza dell'inglese per aiutare molti prigionieri alleati evasi a varcare le Alpi e a rifugiarsi in Svizzera. Lì prese contatti con i servizi alleati. Braccato dai nazifascisti, nel gennaio 1944 raggiunse la Val Pellice e fu commissario politico della formazione Sergio Toja di Giustizia e Libertà. Organizzò i lanci d'armi degli Alleati predisponendo un campo.

Al ritorno da una missione, era marzo 1944, fu catturato dalle SS in Val Germanasca. Per 47 giorni rimase in isolamento nelle Carceri Nuove di Torino. Lo torturarono. Trovò conforto nella Bibbia e nella preghiera. Alla moglie Lucilla Rochat, madre dei suoi tre figli, riuscì a inviare lettere colme di dignità e di amore. Per due volte lo prelevarono per l'esecuzione e per due volte lo riportarono in cella. Fu smistato a Torre Pellice. La moglie e i figli accorsero, ma non gli fu permesso di vederlo. 

Lei leggeva di continuo, come se sgranasse un rosario, una sua lettera dal carcere: «Temo sia suonata la mia ultima ora. La fede non mi abbandona e l'ultimo mio pensiero sarà per voi miei cari! Mi hanno messo al muro, legate le mani, poi in cella in attesa. Non mi faccio illusione e prego Dio che dia a me la forza e a te la consolazione. Sono tranquillo per me, ma quale angoscia per voi! Quante cose vorrei dirti. Tu sai il mio amore per te e i bimbi. Dio vi benedica e vi guardi. Ci troveremo certo di là. Non compiangermi né chiamarmi povero. Vorrei tu non portassi il lutto ma fa come vuoi. Se trovi un compagno meglio! Dio ti aiuti. Addio miei cari, coraggio!». Aggiunse: «Avrei voluto scrivere meglio, ma ho poco tempo e devo prepararmi al passo». 

L'esecuzione fu brutale, un colpo di mitra gli sfracellò la faccia. Poi la macabra pantomima dell'afforcamento di un uomo morto. Gli fu assegnata la medaglia d'oro alla memoria. Nel gennaio 1945 i compagni diedero il suo nome alla seconda Brigata Val Germanasca. Ivrea gli ha intitolato una strada e l'istituto professionale. Si chiama Jervis un rifugio a quota 1732, dove si addestravano i partigiani. Nella Giornata della Memoria, ricordare la sua degna vita è pure un invito a Napoli affinché ponga in città un segno di questo eroe, parola uscita dal vocabolario.

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