Arbore: bene pizza napoletana Unesco, ora il mandolino

Arbore: bene pizza napoletana Unesco, ora il mandolino
di Luciano Giannini
Venerdì 8 Dicembre 2017, 15:11 - Ultimo agg. 9 Dicembre, 11:45
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«Aveva ragione il buon Giorgio Gaber: Ma tu vulive a pizza, a pizza, a pizza, cu a pummarola ncoppa, cu a pummarola ncoppa'... aveva ragione quando in una strofa diceva che è più buona di nu cefaro arrustuto. Il mio cuore è pieno di gioia per il riconoscimento. Date a Cesare quel che è di Cesare. E gliel'hanno dato, finalmente. Questa è la vittoria della Napoli sì, terra di cultura, bellezza, canzoni, pittori e poeti immortali, che io difendo da anni come un cavaliere templare il Santo Graal, contro la Napoli no di Gomorra', munnezza' e dintorni».
Renzo Arbore, napoletano d'adozione, plaude alla decisione dell'Unesco di inserire la pizza napoletana tra i prodotti culturali intangibili dell'umanità ed elevare ad arte il lavoro del suo fattore, il pizzaiolo partenopeo, nelle cui mani sono impresse le stigmate e il fuoco del Vesuvio.

Arbore, qual è la pizza più cattiva e quella più buona che ha provato?
«La peggiore l'ho mangiata a Brasilia, un orrore di plastica. Assolutamente finta. Anche a Roma, giro, giro, ma finora non ne ho trovata una all'altezza. La più buona... ricordo quelle che da giovane di belle speranze trangugiavo a Port'Alba, sistemata a libretto, durante il mio lungo soggiorno all'ombra dl vulcano. E ne ho assaggiate tante! In giro per il mondo con l'Orchestra Italiana, i miei ragazzi dappertutto cercano qualcosa che rassomigli a quella degna del nome e, oggi, dell'omaggio Unesco. Ma non ci riescono. E a tavola, dopo i concerti, immancabilmente la discussione scivola sulla sua bontà anzi, spesso, sulla sua schifezza».

La pizza è un'arte?
«Ne sono convinto. Ricordo quel che dicevano e dicono dei napoletani, popolo di pizzaioli. Una città pizza e mandolino. Nulla mi dava e mi dà più fastidio. Sostengo da anni che dovreste erigere un monumento alla pizza e al mandolino, uno strumento duttile e meraviglioso, a cui io ho restituito nobiltà. Entrambi sono simbolo della Napoli sì, che non si può sacrificare inginocchiandosi dinanzi a un banale anticonformismo».

Entriamo nel merito. Parliamo della tecnica per rendere la pizza un'arte.
«La sua genialità sta nella semplicità, perché è un alimento povero... e nella fretta. Anzi, nella rapidità di confezionarla».

Spieghi meglio.
«Innanzitutto, la sua magnificenza sta nel fatto che è un piatto povero. Dunque, semplice, com'è un po' tutta la cucina napoletana, tranne quella d'età francese. E l'arte dei piazzaioli napoletani è la più facile e la più difficile del mondo. Proprio come quella che serve per preparare uno sontuoso spaghetto al pomodoro».

 

E la fretta, la rapidità?
«Voglio dire che, paradossalmente, non bisogna impiegare troppo tempo e troppa cura per farla. Il pomodoro deve essere scamazzato, ma non troppo; il fiordilatte adagiato, il basilico gettato, il sale spruzzato. Tutto rapidamente. Il piazzaiolo bravo lo sa e ripete gesti entrati, con l'esperienza, nel proprio Dna».
Dunque, per lei l'Unesco dà 110 e lode alla Napoli del sì.
«A quella città ingiustamente criminalizzata in ossequio a un curioso anticonformismo. Lo stesso che se la prendeva con il sole. E io ho impiegato 30 anni a sdoganare una canzone meravigliosa, O sole mio'. Ce l'aveva con il panorama, con la scusa della cartolina e della sua presunta retorica. Ma guardate Napoli, dall'alto, in una giornata di luce e poi mi dite dove sta questa retorica, che deve per forza raccontare soltanto la Napoli della pioggia o del peggio di Scampia. Anzi, colgo l'occasione per lanciare un appello a quelli dell'Unesco».
Quale?
«Vorrei approfittare di questa laurea perché la conferiscano anche al mandolino, che è considerato vecchio, mentre è soltanto antico. Ma come mai questo strumento tocca il cuore quando intona canzoni tristi e la gioia quando suona quelle allegre? Perché ha una magia propria. I nostri antenati lo avevano capito. Non per caso sugli spartiti scrivevano voce e mandolino', come sinonimo di melodia».
Torniamo alla pizza. Quale gusto preferisce?
«Sono all'antica. Come il mandolino. Voto per la Marinara, e poi per la Margherita, contro tanti gusti e sapori con cui oggi alterano la genuinità originaria. E alla mente mi torna un ricordo di gioventù, quando i miei occhi di ragazzo colsero l'immagine del presidente Kennedy a Napoli, mentre, molto prima dell'Unesco, ne mangia una, ovviamente a libretto. E io pensai: è uno di noi».
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