L'uovo di Virgilio | La magia di una Cenerentola e la rumba degli eterni scugnizzi

L'uovo di Virgilio | La magia di una Cenerentola e la rumba degli eterni scugnizzi
di Vittorio Del Tufo
Venerdì 27 Aprile 2018, 11:52 - Ultimo agg. 28 Aprile, 06:36
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«Ma io credo ca pe' sta' bbuono a stu munno
O tutte ll'uommene avarriano a essere femmene
O tutt''e ffemmene avarriano a essere uommene
O nun ce avarriano a essere né uommene né femmene,
Pe' ffa' tutta na vita cuieta...
...e aggio ritto bbuono!»
(Roberto De Simone, Nuova Compagnia di Canto Popolare)


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Una grande storia «popolare», come quella della NCCP, non finisce, non può finire: si nutre di passato ma guarda al futuro, con lo stesso rigore delle origini. A guidare, oggi, l'ensemble fondata nel lontano 1967 in un appartamento di via Cavalleggeri - e sopravvissuta a numerosi addii - sono due componenti storici, Fausta Vetere e Corrado Sfogli (subentrato nel 76). Quello della Nuova Compagnia di Canto Popolare è un repertorio che si rinnova, aprendosi a nuove contaminazioni ed alternando i brani più noti della tradizione popolare, eseguiti con uno stile unico e inconfondibile, ai pezzi inediti composti dall'attuale formazione. Ma è ai primi anni 70 che bisogna tornare per non smarrire il senso delle origini, il significato di un percorso che non si è mai realmente interrotto.
Bisogna tornare, più esattamente, al 1972.

Se l'incontro con Roberto De Simone segna l'inizio di un percorso di ricerca etnomusicologica, quello con Eduardo De Filippo rappresenta il punto di svolta per la storia della Nuova Compagnia di Canto Popolare. È un abbraccio «magico», l'inizio di un lungo sodalizio. Eduardo resta folgorato dalla potenza espressiva del gruppo, da quel canto che sembra spuntare dalle viscere di madre terra. Nel gennaio del 72 l'autore di Filumena Marturano invita i «ragazzi» sul palcoscenico del suo San Ferdinando. «Quanno ce sta o popolo areto - commenta - nun se po' sbaglià». E sul palco del San Ferdinando De Simone e soci si esibiscono durante l'intervallo degli spettacoli. Dirà De Filippo: «Quei giovani artisti ci facevano rivivere le nostre origini più remote, spesso intrecciate strettamente con le antichissime tradizioni di altri popoli mediterranei». Qualche mese più tardi Eduardo organizza al Teatro Valle di Roma un incontro con Romolo Valli, allora direttore del Festival dei due Mondi di Spoleto. È la consacrazione.

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«Nel gruppo - ricorda Giulio Baffi, primo organizzatore della NCCP con Rosanna Purchia - c'erano due anime che convivevano. Un'anima lieta e rumorosa, rappresentata da Peppe Barra, da Giovanni Mauriello e da Patrizio Trampetti, e un'anima rigorosa, ortodossa, quasi tentata dall'ascetismo, incarnata da Carlo D'Angiò ed Eugenio Bennato. Roberto assecondava e orchestrava questi differenti umori, armonizzava queste differenze. Voleva e sapeva costruire per tutti un percorso fatto di differenze. Questa fu la grandezza della Compagnia».
Verso la metà degli anni 70 la NCCP sperimenta nuovi linguaggi ed elabora nuovi percorsi, senza mai tradire il senso della missione originaria: l'indagine a tutto campo sul patrimonio popolare della Campania. Intanto Jesce sole, Cicerenella, Madonna tu mi fai lo scorrucciato, Li sarracini adorano lu sole, In galera li panettieri, Vurria addeventare, entrano nel linguaggio e nell'immaginario collettivo. Sulle note del Ballo di Sfessania e della Ndrezzata, i ragazzi che affollano i concerti ballano come tarantolati.

Il lungo lavoro di ricerca e di sperimentazione condotto da De Simone (La canzone di Zeza, la Cantata dei pastori) porterà, quasi naturalmente, all'esplosione della Gatta Cenerentola. La favola in musica debutta il 7 luglio 1976 al Festival dei Due Mondi di Spoleto diretto da Giancarlo Menotti. Il Maestro, esploratore di fiabe e primo cantore di Giambattista Basile, ne scrive il testo e le musiche, intrecciandoli in una straordinaria tessitura teatrale. Nella quale circola materiale proveniente da fonti e da epoche storiche diverse, non solo la celebre fiaba de Il cunto de li cunti ma anche «riferimenti che vanno dal barocco al manierismo cinquecentesco, alla villanella, alla ballata popolare, al canto delle lavandaie, a Stravinskij» (De Simone, intervista ad Annamaria Sapienza, Il segno e il suono).
De Simone modella la sua Gatta sulle voci e sui corpi degli artisti che condividono il suo percorso: sulla loro gestualità. Nasce così la Gatta Cenerentola: un canto antico e profondo, una vertiginosa costruzione narrativa innervata sulle radici della tradizione popolare. Un capolavoro «a furor di popolo». «Quando cominciai a pensare alla Gatta pensai spontaneamente ad un melodramma». Un melodramma antico e moderno nello stesso tempo, come sono antiche e moderne le favole nel momento in cui vengono raccontate, e irrompono nell'immaginario collettivo.

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Cinque mesi di prove - al teatro Bracco, allora chiuso, e al San Ferdinando reso disponibile da Eduardo - per confezionare il mosaico; poi il debutto a Spoleto, nel 76. Nel cast della Cenerentola sono presenti quasi tutti i membri della Nuova Compagnia, nella doppia veste di cantanti e attori (Peppe Barra, Fausta Vetere, Giovanni Mauriello, Patrizio Trampetti). Si consuma, però, lo strappo di Eugenio Bennato, che decide di non partecipare allo spettacolo e abbandona l'ensemble. «Fu una rottura traumatica - ricorda Bennato - ma non burrascosa. Le divergenze erano artistiche, non credevo fino in fondo nella svolta teatrale, che rischiava di inaridire il progetto musicale. Andai via e una settimana dopo fondai i Musicanova con Carlo D'Angiò. Con noi debuttò Teresa De Sio, un'attrice che trasformammo in una straordinaria cantante».

La favola in musica segna uno spartiacque: nella storia del teatro italiano del Novecento ci sarà un prima e un dopo Gatta Cenerentola. Ci saranno accuse di blasfemia, processi, attacchi anche violenti. Ma ci sarà, soprattutto, un successo travolgente nato dal passaparola.

Anche nella storia della Nuova Compagnia il 1976 è uno spartiacque. Ricorda Peppe Barra: «La Gatta Cenerentola fu il pomo della discordia. C'è stato chi voleva continuare a fare concerti e chi voleva continuare a fare teatro. Io lasciai la NCCP nel 78 perché volevo continuare a fare teatro con De Simone. Il sodalizio è proseguito fino agli anni 80, poi si è interrotto».

Anche la Compagnia stava andando in una direzione che non piaceva a De Simone. Ci furono dissidi, incomprensioni, e alla fine proprio De Simone, il Maestro, decise di lasciare, di percorrere nuove strade. «Avvertivo l'esigenza di seguire i miei istinti. Ritenevo, da un lato con la NCCP e dall'altro con la ricerca e la documentazione sul campo, di avere esaurito il mio lavoro sulla vocalità. Per me si apriva un nuovo problema. Ovvero quello di raccontare i significati onirici sedimentatisi nella tradizione orale, secondo i dettami dell'antropologo Ernesto De Martino. Concepii la formula del teatro in musica proprio per coniugare la vocalità presente nella tradizione popolare con la dimensione del mondo onirico e dei segnali codificati attraverso il mondo della fiaba e la rappresentazione del rituale. Così nacque la Gatta. La tappa successiva, per me, fu il Requiem per Pasolini. Mi indirizzai verso una forma colta di concerto che però mescolasse l'impostazione accademica con l'impostazione musicale. Poi ho proseguito su questa strada».

Patrizio Trampetti, uno dei componenti storici dell'ensemble: «Provo ancora oggi un grande rammarico, quello di esserci persi. Certo, i rapporti sono rimasti buoni con tutti, ma la straordinaria alchimia di quei tempi è svanita. Ed è svanita proprio perché ciascuno di noi interpreta l'arte, e la musica in particolare, in maniera diversa. Il mio sogno? Riunirci tutt'insieme, un'ultima volta, e regalare un grande concerto alla città».

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Nell'ensemble, intanto, si affacciano altri nomi. Fino all'attuale formazione: Fausta Vetere, veterana e unico membro della formazione originaria, Corrado Sfogli (aggiuntosi nel 1976), Gianni Lamagna, Pasquale Ziccardi, Michele Signore, Marino Sorrentino, Carmine Bruno. Se questa meravigliosa storia è arrivata fino a oggi è grazie all'impegno, alla passione e all'entusiasmo di Fausta Vetere e del marito, Corrado Sfogli. Impegno e passione al servizio di un progetto che continua a camminare per il mondo, sempre guardando avanti. «La Nuova Compagnia - conferma Gianni Lamagna, l'altra voce del gruppo - è ancora oggi un'icona per molte generazioni di musicisti. La NCCP ha avuto il merito di aver squarciato un muro, aprendo gli occhi di tutti su un mondo, una cultura, una tradizione e uno stile di canto che tutti credevano scomparso».

Di questo lungo viaggio siamo stati tutti, chi più chi meno, testimoni, anche involontari. Cinquant'anni di studio, ricerca, sperimentazione. Nel segno della musica popolare che è andata poi, man mano, contaminandosi con altri suoni, con altre fonti, con altre sponde del Mediterraneo e con altre culture, in un meticciato continuo che non ha mai smarrito, però, il senso e il rigore delle origini. Come la Napoli che amiamo, come i brandelli di memoria che proviamo a rimettere insieme.

 
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