«Libri, "Io ci sto" sfida vinta ma Chiaia non è il Vomero»

Parla il patron dello store di via Cimarosa

«Libri, "Io ci sto" sfida vinta ma Chiaia non è il Vomero»
di Maria Chiara Aulisio
Martedì 24 Gennaio 2023, 08:22
4 Minuti di Lettura

Alberto Della Sala, direttore di Iocisto, prima libreria in Italia ad azionariato popolare, ricorda quel pomeriggio dell'inaugurazione. «Aprimmo sulla scia della rabbia, fu una sommossa spontanea. Il Vomero aveva perso anche Loffredo, e noi non riuscivamo a accettare un quartiere senza più librerie. Tirammo su la saracinesca che neanche ci avevano consegnato i volumi: il primo giorno - non lo dimenticherò mai - sugli scaffali c'era solo una copia di Cent'anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez».

Quanto tempo è passato da quell'inaugurazione?
«Già nove anni. Non vi nascondo che abbiamo vissuto tanti momenti difficili, a cominciare da quello del covid ma abbiamo resistito con orgoglio e dignità e oggi siamo qui più motivati di prima. E per questo ringrazio tutti i volontari di Iocisto che ogni giorno mettono a disposizione dei libri e della cultura il proprio tempo solo per amore e passione».

Con la chiusura di Feltrinelli c'è chi sta pensando di riproporre il modello Iocisto anche a Chiaia. Che cosa ne pensa?
«Ho letto e subito aderito all'idea lanciata dal notaio Dino Falconio che - non solo è socio fondatore di questa libreria - ma si occupò anche della stesura del nostro statuto.

Purtroppo non mi sento affatto ottimista».

Perché?
«Comincio dai costi. La prima cosa che bisognerebbe trovare è un locale. Non troppo grande ma neanche piccolissimo altrimenti i libri dove li metti? Orientativamente sarebbero necessari un centinaio di metri quadrati. Con ragionevole certezza, a Chiaia, per un immobile del genere parliamo di circa sei/settemila euro al mese. E mi sono tenuto basso».

Bella cifra.
«Ovviamente mai fronte strada, sempre all'interno di un palazzo. Altrimenti non dico che si raddoppia ma quasi».

Quanti libri bisogna vendere per pagare cifre del genere?
«Ecco, appunto. Solo per sostenere le spese di affitto dovresti vendere libri per circa 20mila euro».

Addirittura?
«Certo. Abbiamo i prezzi di copertina da rispettare e il ricarico sui volumi non può mai andare oltre il trenta per cento, quello che resta a noi dopo aver pagato il fornitore. Questo spiega perché anche giganti dell'editoria come Feltrinelli vanno in difficoltà e tagliano i costi».

E le spese ovviamente non sono solo quelle dell'affitto.
«Magari. Ci sono tante altre voci da considerare, a cominciare dalle utenze che tra l'altro di questi tempi sono alle stelle. Senza contare che in occasione di una prima apertura, come avverrebbe nel caso di Chiaia, c'è un costo iniziale dal quale non si può assolutamente prescindere».

Di quale costo si tratta precisamente?
«Parlando in cifre siamo intorno agli 80mila euro necessari per l'avviamento dell'attività, cifra calcolata sempre per difetto, sia chiaro».

Ottantamila euro per fare che cosa?
«Tanto per cominciare vanno comprati i libri base necessari all'allestimento. E non è una spesa di poco conto anche se si tratta di una piccola libreria. Poi c'è l'arredo, gli scaffali, l'attrezzatura di cassa. Francamente non sono più neanche convinto che 80mila euro siano sufficienti».

Poi ci vorrà il personale.
«Altro problema. Noi andiamo avanti grazie al lavoro prezioso di dodici straordinari volontari: una comunità partecipata, appassionata e coraggiosa che resiste perché crede nel nostro modello alternativo di fare cultura a Napoli. Ora non so se a Chiaia si riuscirà a garantire la medesima organizzazione. D'altronde immaginare di pagare dei commessi almeno per noi sarebbe impossibile».

Cifre proibitive.
«Neanche a parlarne. Alle nostre spalle non c'è un imprenditore, e il fine ultimo non è il lucro. Siamo soddisfatti di arrivare ogni anno al pareggio di bilancio. Se dovessimo farci carico anche dei costi del personale avremmo già chiuso da tempo».

Alla luce di queste considerazioni è fin troppo chiaro che sarà meglio aspettare che a piazza dei Martiri riapra Feltrinelli.
«Non ho detto questo. L'idea di una Iocisto nel quartiere Chiaia arriva da uomini del fare abituati alla concretezza e poco avvezzi alle chiacchiere. Non escludo che saranno in grado di realizzare il progetto. Una prospettiva valida comunque ci sarebbe».

Quale?
«La discesa in campo di uno o più imprenditori che definirei illuminati disposti a investire sui giovani e sulla cultura».

Gli stessi giovani ai quali faceva riferimento il notaio Falconio nella sua proposta.
«Sono loro il futuro. Laureati e competenti, come diceva Dino, con la voglia di non andar via ma contribuire al rilancio di questa città anche dal punto di vista culturale. Iocisto se avranno bisogno di me».

© RIPRODUZIONE RISERVATA