Martedì l'addio ad Armando Borriello, il giornalista che si faceva amare

Martedì l'addio ad Armando Borriello, il giornalista che si faceva amare
di Titti Marrone
Lunedì 11 Marzo 2019, 11:00 - Ultimo agg. 19:22
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La voce. E il sorriso. E le sue battute irresistibili. E quella sua arte di smussare i contrasti, di sdrammatizzare, di stemperare le tensioni con una frase che ti faceva pensare no, non vale la pena prendersela o accapigliarsi, stiamo a fare tutti il giornale, cioè la cosa che amiamo e ci unisce, facciamolo bene, proprio non serve farsi il sangue amaro. Si pensa a lui, si pronuncia nella testa il nome «Armando Borriello» e a venire in mente subito sono immagini così, che te lo restituiscono vivo e vitale, elegante, bello, galante, e poi bravo e simpatico com'era, in modo travolgente. Un gran signore del giornalismo, un professionista serio come pochi. L'amico prezioso di giornate e nottate passate a lavorare fianco a fianco. Pronto a dare una mano a tutti, a spiegare ai più giovani come andava fatto un pezzo, a correggere l'errore altrui senza mai far pesare la sua esperienza. Un collega competente, meticoloso, appassionatissimo al suo lavoro e alla vita.

Armando se n'è andato ieri a 71 anni, dopo aver sofferto tanto per un accavallarsi di alcuni dannati malanni che però fino alla fine non sono riusciti a spegnergli il sorriso. La notizia è rimbalzata su Facebook nelle prime ore del mattino di ieri, schiudendo un risveglio amaro a noi, che con lui abbiamo diviso il lungo tratto di strada del lavoro al «Mattino». In un post dove suo figlio Giancarlo, pure lui giornalista, gli dava voce, era scritto «cari, ho avuto il piacere di condividere con voi un pezzo di vita, grazie delle preghiere. Sono finalmente libero». Sotto, la foto di Armando in una delle sue espressioni sorridenti più tipiche. Subito, come in un dialogo che non si voleva né poteva interrompere, sono fioccati i messaggi, i saluti, i ricordi di tanti amici, colleghi, persone che avevano compiuto una parte di cammino con lui.

Armando aveva cominciato come giornalista al «Diario», dove si era occupato di quella che sarebbe diventata una delle sue passioni professionali, lo Sport. Ma è stato a «Il Mattino», dove fummo assunti insieme da Franco Angrisani nel 1983, che ha potuto dedicarsi al settore verso il quale si sentiva più fortemente orientato: gli Esteri. Erano i nostri anni d'oro i 90 noi dodici colleghi «entrati» insieme nel 1983 eravamo legatissimi e «spalmati» nelle varie redazioni e non mancavamo, ogni 5 anni, di festeggiare la nostra assunzione con un brindisi che era sempre Armando a organizzare. Armando lavorò per qualche anno a Milano come corrispondente de «Il Mattino», «coprendo» con competenza e versatilità avvenimenti di ogni tipo. Dopo la caduta del Muro di Berlino era già diventato il capo degli Esteri, a guida di una redazione agguerritissima formata da ben otto persone, che sfornava 3-4 pagine al giorno più commenti di prima, interviste, reportage, approfondimenti di economia internazionale.

In quel periodo «Il Mattino» partecipava, spesso proprio con il responsabile Esteri, ai principali vertici mondiali e con «l'inviato di fuoco» che tutti ci invidiavano, Vittorio Dell'Uva, documentava i temi geo-strategici cari ad Armando. Le sue pagine erano tra le più ricche, complete, interessati. La sua passione termine inevitabilmente associato a Armando e dunque continuamente ricorrente in quest'articolo erano i rapporti Usa-(ex)Urss, gli snodi in atto sullo scacchiere internazionali in un periodo cruciale.

Fu con un po' di rimpianto che Armando, a un certo punto, lasciò gli Esteri per diventare capo dello Sport. Ma trattandosi della sua seconda passione professionale, peraltro corroborata dalla consapevolezza di essere utile per il rilancio un settore cruciale per «Il Mattino», anche lì Armando diede il meglio. Così come fece in seguito, come redattore capo nell'Ufficio centrale del giornale, dove io e lui siamo stati «compagni di banco» per cinque anni. E dove, scherzando, con la sua voce impostata in modo baritonale, con spirito che ci metteva allegria Armando chiosava le notizie più terribili piovute sui nostri tavoli lanciando frasi diventate per noi paradigmatiche: «È l'inverno!» o anche «mo' mi jetto nterra!». A me sembra di sentirle ancora.

Dopo il pensionamento, la passione di Armando è stata dispiegata per la ricostruzione dell'attività sindacale dei giornalisti, dando impulso alla nascita del Sugc, di cui è stato presidente. E oggi a ricordarlo sono davvero tanti in città, incluso il sindaco de Magistris che ha indirizzato alla famiglia un messaggio di cordoglio, e Ottavio Lucarelli per l'Ordine dei Giornalisti.

Devono sapere, la moglie di Armando, i figli Giancarlo Chiara, Filippo, i nipotini, che martedì alle 10, nella chiesa di Santa Maria di Piedigrotta, chi si stringerà per i funerali accanto a loro lo farà con un rimpianto autentico. Perché Armando lascia dietro di sé il segno forte e raro di un signore del giornalismo, di un professionista impeccabile e appassionato. Di un collega dalla grande umanità.
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