Cesare Attolini è morto: Napoli piange il mitico sarto della “Grande Bellezza”

Una storia e un brand lungo 90 anni: «Fino all’ultimo ha seguito la produzione»

Cesare Attolini morto all'età di 91 anni
Cesare Attolini morto all'età di 91 anni
di Cristina Cennamo
Venerdì 25 Novembre 2022, 00:05 - Ultimo agg. 26 Novembre, 09:53
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«Se ne è andato l’ultimo gigante della sartoria napoletana». C’è tutto l’affetto ed l’orgoglio del figlio di un maestro nelle parole di Giuseppe, nel momento in cui annuncia la morte del padre Cesare Attolini, figlio dell’indimenticabile Vincenzo nella cui sartoria, nel 1930, fu ideata la prima giacca “alla napoletana”, come sarebbe poi stata battezzata: destrutturata, morbida, senza spalline. Un’innovazione che sarebbe poi stata seguita da tutte le maison. E che Cesare ha tramandato con letteralmente fino all’ultimo dei suoi giorni. 

«Mio padre - spiega Giuseppe Attolini - se ne è andato con il sonno dei buoni nella sua casa di Napoli. Stava bene, non aveva malori particolari se non gli inevitabili acciacchi che sempre porta con se la vecchiaia. Fino alla sera prima abbiamo parlato di lavoro. Poi, dopo pranzo, si è addormentato per non svegliarsi mai più. Il suo collaboratore era sceso, se ne è accorta mia madre che avvicinandosi ha scoperto che non respirava più. Io e mio fratello eravamo ad un pranzo di lavoro con dei clienti olandesi, inutile dire che ci siamo subito precipitati». Cesare Attolini aveva compiuto da poco 91 anni, e da 65 era legato ad Anna: una vita insieme, sempre all’unisono, esempio di un legame raro di grande esempio al resto della famiglia. «Quando sono arrivato da lui - racconta Giuseppe - l’ho ringraziato: per quello che è stato, per quello che mi ha insegnato, per essere stato al mio fianco per così tanti anni, per i valori che mi ha inculcato. Siamo stati fortunati ad averlo». Un fulmine a ciel sereno che ha sconvolto l’intero mondo della moda e della sartoria napoletana, visto che il maestro Attolini, come lo chiamavano in tanti, faceva sempre sentire la sua presenza seppur da remoto. Non passava giorno che non s’informasse sull’andamento dei negozi, sulla produzione, sulla sartoria e sui collaboratori. Lucidissimo fino alla fine, se ne è andato come ha vissuto: da uomo autentico, visionario, passionale, generoso, devoto anzitutto alla sua famiglia e poi alla sua amata arte dell’ago e del filo. Un padre con la “P” maiuscola, prodigo di affetto per i figli e per ciascuno dei suoi sarti: decine e decine di giovani artigiani napoletani che hanno potuto apprendere i segreti di un affascinante e nobile mestiere.

«Mio padre Vincenzo - raccontava lui stesso - osò mettere in discussione il modello inglese, portando a termine una rivoluzione.

Riuscì cioè a rendere la giacca morbida e leggera come una camicia o un cardigan apportando numerose altre innovazioni tecniche. Io ho semplicemente messo a frutto i suoi insegnamenti». Tra i sei figli di Vincenzo, fu lui che sin da giovanissimo lo affiancò apprendendone le tecniche del taglio dei tessuti ed i segreti di modellatura e costruzione di quella giacca che dagli anni Sessanta in poi ha continuato a mietere proseliti. Cesare alimentò il suo lavoro con la stessa caparbietà e tensione al perfezionismo. Dopo i primi anni nella bottega di famiglia di via Vetriera, decise ancor giovanissimo di lasciare famiglia e città per affinare la sua abilità nel disegno e nella modellistica: a ventidue anni raggiunse Torino per dirigere una delle più prestigiose sartorie dell’epoca ed in poco tempo riuscì a dar vita, per primo e con un enorme successo commerciale, ad una linea caratterizzata dal connubio perfetto fra le tecniche lavorative artigianali, apprese grazie al lavoro fianco a fianco con il padre, con quelle seriali, all’epoca dominanti. Organizzando processi e spazi pur tenendo intatto e autentico il saper fare sartoriale. Nel modello, all’epoca avveniristico, di Cesare, ogni sarto inizia ad eseguire una fase manuale della costruzione della giacca, specializzandosi profondamente e, allo stesso tempo, preservando l’autenticità della lavorazione manuale. Proprio come nel 1930 aveva fatto suo padre Vincenzo, Cesare scrisse quindi a sua volta un nuovo capitolo dell’arte sartoriale: di nuovo un’intuizione acuta, visto che questo sarà di lì in poi il metodo produttivo adottato da moltissime aziende del Made in Italy e non solo. Terminata l’esperienza torinese, Cesare continuò ad esser ingaggiato nell’ideazione e creazione di nuove linee, contribuendo al successo di molte altre case. «Ho sempre avuto un precetto, inculcatomi da mio padre fin da ragazzo - amava raccontare - fare sempre seriamente il mio lavoro, senza cercare facili scorciatoie o scendere a compromessi che possono anche premiarti nel breve periodo ma nel lungo ti presentano sempre il conto». Nel 1987, Cesare decide di tornare a Napoli per mettersi in proprio ed apre a Casalnuovo una sartoria contemporanea di importanti dimensioni. I figli Massimiliano e Giuseppe, rappresentanti della terza generazione, lo affiancano con entusiasmo. Oggi, 130 sarti fino a pochi mesi fa ancora condotti dal maestro novantenne, producono con il solo ausilio di forbici, ditali, ago e filo, cinquanta tra giacche ed abiti al giorno. Perché, come era solito ripetere Cesare, «l’accezione di unicità che ogni manufatto deve portare con sé, uscito dal laboratorio Cesare Attolini, è cosa irrinunciabile e la qualità che sottende a tutte le fasi di lavorazione manuale è un dogma indiscusso». Anche Hollywood, del resto, se ne è accorta: indimenticabili gli abiti di Jep Gambardella nella “Grande Bellezza”, dal vestito da sera blu che Toni Servillo indossa mentre passeggia all’alba per Roma al completo bianco in lino, indossato anche per la locandina del film. L’ultimo saluto oggi alle 16, nella chiesa dell’Immacolata al Vomero. 

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