Classe 1925, capelli bianchissimi, stile e memoria di ferro. Se n'è andato Piero Forquet straordinario bridgista napoletano, quello che diede filo da torcere pure a Omar Sharif. Uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi, - così lo definisce il sito Bridge d'Italia che per primo ha dato la notizia della morte - negli anni Sessanta forse il migliore in assoluto tanto da ricevere l'onorificenza di Cavaliere della Repubblica per meriti sportivi. Prima partita a 15 anni sulle orme della madre, formalmente correttissimo, ma altrettanto capace di ignorare i rivali al punto da farli sentire inutili comprimari, al tavolo di bridge Forquet era un vero e proprio talento. Una abilità, la sua, certamente frutto di una spiccata propensione naturale ma anche di tanto, tanto studio. «Sono più di settant'anni che siedo al tavolo da gioco e ho ancora molto da capire. Bisogna aggiornarsi continuamente: - raccontò in una intervista di qualche tempo fa - c'è sempre qualcuno che inventa regole nuove, il bridge è cosi: non si finisce mai di imparare».
Fu lui a ideare il Fiori Blue Team, un sistema di gioco che dal 65 in poi divenne il marchio di fabbrica della nazionale italiana. Venti medaglie d'oro internazionali in un quarto di secolo, fra il 1951 e il 1974, campione d'Italia, d'Europa e del mondo, eroe delle 13 carte e maestro della dichiarazione. Sempre in coppia con Benito Garozza, inseparabile compagno di squadra (dieci volte campione mondiale, tre olimpico e cinque europeo), fu proprio al tavolo verde che Piero Forquet conobbe Giuliana, la donna che poi sarebbe diventata sua moglie. Giocatrice pure lei e con grande stupore del marito «anche piuttosto brava per essere una donna». Alla domanda: Perché le donne giocano male? il campione napoletano rispose senza esitazione: «Non bene come gli uomini, sia chiaro. E non venite a dirmi che sono maschilista perché dico la verità». Nella stessa occasione però non potè fare a meno di aggiungere che a Napoli due donne - solo due - particolarmente abili invece c'erano. Chi? «Le sorelle D'Andrea, Luciana e Marisa, che considero mie allieve. Per il resto - aggiunse sorridendo - il gentil sesso non si è mai particolarmente distinto ai tavoli di bridge. In tutto il globo terrestre non sono più di tre le signore che hanno partecipato a campionati del mondo. Vorrà pur dire qualcosa oppure no?».
Infine c'è la storia di Omar Sharif. La memoria vuole che al tavolo da gioco fosse insopportabile pur avendo una gran passione per il bridge: «Pretendeva di avere sempre ragione. Impossibile contraddirlo. Ma con me - parola di Forquet - c'era poco da fare: quando avevo qualcosa da dirgli non mi creavo alcun problema, a costo di litigare». Nel 67 l'indimenticabile interprete del dottor Zivago formò perfino la sua squadra, la Sharif Circus di cui facevano parte, ovviamente Piero Forquet, Benito Garozzo, Giorgio Belladonna e alcuni giocatori francesi. La squadra era sicuramente molto forte. Anche se Forquet non riuscì mai a dimenticare una trasferta americana piuttosto sfortunata. «Giocavamo un torneo sponsorizzato dalla Lancia. Quattro incontri: Chicago, Los Angeles, New York e Miami. In palio quattro Lancia Beta. Li perdemmo tutti e quattro, non riuscimmo a portare a casa neanche un'auto».
Per fortuna Omar Sharif non perse la calma, anzi, nel corso della premiazione prese la parola e disse: «Non saremo ricordati come i migliori giocatori del mondo eppure la Lancia una macchina dovrebbe darcela lo stesso. Belli, eleganti e raffinati: il nostro è stato uno show non una sfida». L'ultimo saluto al campione oggi alle 10.30 nella chiesa di San Gioacchino.
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