Rione Sanità, si faccia chiarezza senza disperdere un bel sogno

di Vittorio Del Tufo
Venerdì 9 Novembre 2018, 08:00
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Si fa fatica ad accettare l’idea che un’esperienza positiva come il recupero «dal basso» delle Catacombe di San Gennaro venga messa in discussione. E desta un certo sconcerto che questo avvenga all’improvviso e sulla base di motivazioni fatte trapelare a mezza voce, senza chiarezza. In questi anni abbiamo guardato un po’ tutti con curiosità e, perché no, con orgoglio, al lavoro dei ragazzi del Rione Sanità e di padre Antonio Loffredo, che ha avuto l’idea di coinvolgere i giovani del quartiere nella gestione e nel rilancio delle Catacombe, facendo di queste ultime un volàno di sviluppo turistico prima ancora che un laboratorio di impresa sociale. Insomma un modello virtuoso che ha offerto opportunità di lavoro in un territorio difficile e ha contribuito a salvare il sito archeologico dal degrado e dall’abbandono in cui versava. 

Proprio per questo vogliamo, anzi pretendiamo che sia fatta luce su una vicenda i cui contorni ci appaiono ancora oscuri. Anche perché finora i protagonisti della querelle, a cominciare dal Vaticano e dallo stesso cardinale Sepe, hanno fatto davvero poco per diradare le nubi. Alla cooperativa La Paranza, che sottoscrisse l’accordo per la valorizzazione delle Catacombe, viene rimproverata solo una gestione un po’ troppo autonoma o c’è dell’altro? Non vorremmo che questo interrogativo si trascinasse. Il Vaticano pone solo un problema di trasparenza e di eccessiva «autogestione» del sito o ci sono altri aspetti che non conosciamo e che potrebbero addirittura mettere in discussione l’intera esperienza e il lavoro del sacerdote e dei ragazzi della Sanità? 

Occorre essere chiari su questo punto. È giusto che il Vaticano chieda di garantire a questa esperienza una cornice gestionale meno improvvisata e più professionale; a patto però che dietro questa improvvisa solerzia (dopo anni di silenzio: la convenzione risale al 2009) non si nasconda la volontà di cancellare quello che è apparso, a tutta Napoli e non solo, un modello di impresa sociale volta al recupero di un luogo della memoria che fa parte del patrimonio spirituale di ciascuno e del patrimonio storico e culturale di tutti. 

È questa l’idea che si fa fatica ad accettare. Che si getti a mare un’esperienza che non è solo fonte di reddito (e di promozione turistica) ma anche di riscatto sociale. 

Un’esperienza attorno alla quale si è innervato un dialogo virtuoso tra le varie anime della città, spesso non dialoganti: i volontari e le «paranze» sane dei quartieri più a rischio e i tanti intellettuali, scrittori, artisti, case editrici che hanno aderito con entusiasmo all’iniziativa del recupero delle Catacombe offrendo il loro contributo, declinato ovviamente in forme diverse. 

Al di là del modello di valorizzazione del patrimonio storico e culturale, e ben oltre le visite, gli spettacoli, gli incontri, i concerti sempre affollati dell’orchestra Sanitansamble, è questa la vera sfida che non va rinnegata. Perché questa sfida sta lì a dimostrare che a Napoli, quando si vuole, le cose possono cambiare, anche liddove le istituzioni sono assenti o distratte, e bisogna cominciare dal basso. Disperdere questo sogno, anche solo metterlo in discussione, o addirittura cancellarlo, vorrebbe dire ricacciare l’intera città, e non soltanto il Rione Sanità, nel torpore da cui si era ridestata. 
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