Napoli, la chiesa di San Pietro Martire rinasce dopo dieci anni: ecco i turisti

Napoli, la chiesa di San Pietro Martire rinasce dopo dieci anni: ecco i turisti
di Paolo Barbuto
Venerdì 4 Giugno 2021, 12:12 - Ultimo agg. 16:02
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Entrare in San Pietro Martire dopo dieci anni e sentirsi travolti dall'arte e dalla storia della città, è tutt'uno. Da un angolo ti guarda la Napoli degli Angioini, dall'altro ti osserva la città del Rinascimento, in una cappelluccia laterale ti scrutano perfino le migliaia di ex voto dell'inizio del 900, così ti senti piccino piccino: poi incroci lo sguardo dolce di Caterina, che fa la custode di quella meraviglia, e capisci che non bisogna avere soggezione di fronte a tanta bellezza, perché quella meraviglia appartiene anche a te e lei ti invita ad entrarci dentro per diventarne parte.

Quando Caterina, poi, scopre che alle tue spalle c'è Massimo, allora la dolcezza si trasforma in affetto, entusiasmo, calore. Massimo è Massimo Faella, fondatore e deus ex machina di Respiriamo Arte, l'associazione di giovani folli e appassionati che si sono messi in testa (e ci stanno riuscendo) di recuperare il patrimonio artistico dimenticato della città per offrirlo ai visitatori.

Hanno iniziato con Santa Luciella, la chiesetta del teschio con le orecchie, hanno inglobato la chiesa dell'Arte della Seta, quella dei Santi Filippo e Giacomo, adesso sono anche i paladini di San Pietro Martire che il Fec ha affidato alla comunità di Sant'Egidio. La comunità ha deciso di lasciare nelle mani dei giovani folli di Respiriamo Arte l'apertura alle visite guidate: i turisti torneranno da domani, Il Mattino ha potuto immergersi in quella meraviglia in anticipo, per poterla raccontare, anche se le parole non consentono di farlo nella misura giusta. 

Dieci anni bui, poi il progetto di ristrutturazione, due milioni di fondi Unesco e i lavori che vanno, come sempre, un po' a rilento. Progetto varato nel 2013, fine dei lavori nel 2021, meno di un mese fa. All'inaugurazione c'erano il prefetto Valentini (il Fondo Edifici di Culto viene gestito proprio dalla prefettura) e il sindaco de Magistris, poi lì dentro sono rimasti gli agguerriti addetti della comunità di Sant'Egidio. Non smettono di mettere insieme pacchi alimentari per le famiglie bisognose, non si stancano di preparare cibo da distribuire di notte agli homeless affamati, trascorrono giornate infinite di fianco a pezzi d'arte incommensurabili, forse loro stessi sono arte, quella che si manifesta nel donarsi agli altri.

Bisognava riaprire per davvero alla città questo luogo, così la comunità s'è rivolta a Respiriamo Arte e s'è messa in moto l'altra macchina della passione, quella per l'arte.

Attualmente la chiesa è recuperata quasi del tutto e basta varcare la soglia per restare paralizzati dalla bellezza. Lì dentro si sono susseguite, e affastellate, testimonianze degli Angioini che la fondarono, opere rinascimentali della prima rivisitazione, decorazioni settecentesche e sussulti barocchi dei secoli successivi. Poi, dopo aver resistito alle invasioni, ai saccheggi e ai terremoti, San Pietro Martire si arrese a una bomba di una fortezza volante durante la seconda guerra mondiale che cambiò un'ultima volta il volto e la storia della chiesa. 

L'elenco delle opere sarebbe inutile: bisogna vedere per capire. La Madonna medievale che incorona gli abitanti della città, sembra voler uscire dal marmo in cui è stata scolpita; il cinquecentesco San Matteo, recuperato dallo smembramento del monumento funebre del giureconsulto Antonio De Gennaro, pare muoversi dinanzi ai tuoi occhi. Alle pareti dipinti che raccontano le influenze caravaggesche e il racconto storico di una città impaurita dal Vesuvio e devota a San Gennaro.

Poi, come in ogni luogo di Napoli, c'è il segreto nascosto nelle parole e nei racconti tramandati. Dicono che qui sotto passasse il Sebeto, fiume troppo esaltato e poco rivelato, che percorreva Napoli. Raccontano i testi antichi (e i popolani di oggi) che sotto il pavimento della chiesa c'è ancora l'acqua di un tempo. Durante la dominazione spagnola pare che fosse usanza del popolo portare caraffe d'acqua pura di San Petro Martire ai nuovi vicerè: serviva a rabbonirli, a farli diventare napoletani, come se fosse una pozione magica.

L'acqua di San Pietro, a dire la verità, mostra ancora tutti i suoi segni nella chiesa appena rinnovata: inumidisce pareti e pavimenti, lascia tracce sul cotto antico. Dicono gli esperti che è tutta colpa del risanamento che fece elevare il piano strada del Corso Umberto e lasciò la chiesa qualche metro più giù a sorbirsi gli scoli dell'acqua e, oggi, le perdite delle condotture.

Qui, dentro San Pietro Martire, però, dicono che non è vero, che è il Sebeto che continua a bagnare la chiesa: crederci non costa niente e rende ancora più emozionante la visita.

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