Napoli, chiude la storica pasticceria Cacciapuoti: preparava la pastiera per Enzo Biagi

Napoli, chiude la storica pasticceria Cacciapuoti: preparava la pastiera per Enzo Biagi
di Mariagiovanna Capone
Giovedì 17 Gennaio 2019, 07:00
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Un annuncio sobrio, sincero. Proprio come hanno lavorato ogni giorno della loro vita. «Dopo 72 anni di attività, lo storico Bar Pasticceria Cacciapuoti chiude i battenti. I fratelli Antonio e Andrea ringraziano tutta la loro spettabile clientela per la fiducia data in questi anni. È giunto il momento di goderci i nipotini e la meritata pensione. Grazie a tutti!». Chi è del Vomero almeno una volta nella vita è entrato in questa storica pasticceria dove i sapori della tradizione si coniugavano con modi gentili e sorrisi schietti. Ora per acquistare le cartucce, i pasticcini a base di mandorle da scartare e assaporare lentamente, oppure le croccanti lingue di gatto, specialità per le quali in tanti accorrevano dal ogni angolo del quartiere. Senza contare i dolci delle festività, come pastiera e struffoli, roccocò, torroni morbidi, cassate napoletane, raffiuoli. Sapori e profumi delle antiche ricette partenopee, impastati con manualità e ingredienti naturali. Perché i valori che hanno segnato la storia professionale e umana di questa famiglia nascono da poche e semplici regole dettate dai fondatori Alberto e Rosa, e che si sono tramandati di padre in figlio fino a oggi. Per Antonio, 71 anni, e il fratello Andrea, di 77, è tempo di abbassare la saracinesca di questo locale di via Aniello Falcone e godersi una vecchiaia circondati da gioia e affetti sinceri.
 
Oggi, con la voce rotta dall'emozione, ricordano aneddoti e volti noti, della pastiera che un loro cliente inviava a Enzo Biagi tutti gli anni, della lettera con il sigillo dei principi di Monaco per congratularsi dei dolci meravigliosi che avevano gustato, ma soprattutto abbracci e lacrime degli abitanti del quartiere in questi giorni di commiato. La storia del bar pasticceria Cacciapuoti ha radici lontane. «Nel 1934 nostro padre Alberto aprì un bar a Soccavo, il primo del quartiere. Ma dopo la guerra e in pieno boom economico, investì tutto quello che aveva in questo locale al Vomero: casa e bottega, davanti c'era il bar coloniali, come si chiamavano un tempo, e dietro ci vivevamo in nove» ricorda Antonio. È una storia di fatica e amore, sudore e sacrifici quella della famiglia Cacciapuoti, con sette bambini (cinque femmine e due maschi) attaccati alla gonna di mamma Rosa che si divideva tra la cassa e le faccende di casa. «Mamma è stata una donna straordinaria: grande lavoratrice ma sempre pronta a slanci di affetto». Poi il successo del locale, anno dopo anno, grazie alla bravura di Andrea, che si era fatto le ossa dallo zio Luigi come aiutante pasticcere iniziando ad appena otto anni, e di Antonio. Unico rammarico: la scomparsa del padre Alberto poche settimane prima che gli venisse consegnata l'onorificenza di cavaliere del lavoro. Dopo una mattinata di lavoro, in cui hanno consegnato gli ordinativi alla clientela affezionata, i fratelli Cacciapuoti hanno abbassato la saracinesca il 31 dicembre per l'ultima volta. «Siamo una famiglia onesta e pulita, abbiamo cresciuto i nostri figli con gli stessi valori che i nostri genitori hanno insegnato a noi e si sono costruiti un avvenire diverso. Io spiega Antonio mi godrò mio nipote Pio, mentre mio fratello Andrea ne ha ben quattro. Venderemo senza fretta il locale, per grazia di dio non abbiamo problemi economici. Quello che conta è che per noi adesso inizia una nuova vita». Una vita dolce e ricca come la loro mitica pastiera.
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