Il circo Barnum dei pastori che banalizza un'arte nobile

di Vittorio Del Tufo
Martedì 11 Dicembre 2018, 08:00
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Non ci piace il presepe. O meglio: questo presepe non ci piace più. E non perché vi abbia fatto irruzione, come un incubo venuto dal passato, il ghigno beffardo del dittatore nazista, con tanto di braccio destro alzato. No, Hitler è solo l'ultima carnevalata. Una trovata per nulla geniale e di pessimo gusto. No, questo presepe non ci piace più da tempo. Non ci piace più la deriva clownesca dei pastori e dei pastorai di San Gregorio Armeno, macchina acchiappaturisti buona per fare soldi (ma nemmeno tanto, visto che quasi tutti guardano, commentano, scattano foto e filano via) e soddisfare la curiosità dei turisti. Non ci piace questa degenerazione farsesca di una tradizione illustre e nobilissima, lo svilimento continuo, ostinato e progressivo di un'espressione artistica che tutto il mondo ci invidia. Non ci piaceva prima che comparisse l'orribile statuina di Hitler, e ovviamente ci piace ancora di meno adesso, perché si è toccato il fondo.

Ma l'inizio del declino - il circo barnum dei pastori - è cominciato molto prima. È cominciato quando gli artigiani di San Gregorio Armeno, professionisti benvoluti e stimatissimi, un'eccellenza della città - hanno deciso di mettere la loro arte al servizio della banalità. Hanno deciso, cioè, di banalizzare la loro arte.

È interessante notare come questa banalizzazione dell'arte dei maestri presepai (non di tutti, ma di parecchi di loro) vada di pari passo con un certo pulcinellismo di ritorno che rischia di trasformare tutto in «pastore», appunto. Il pastore-traffico e il pastore-parcheggiatore abusivo, il pastore San Gennaro e il pastore-Gomorra. Una pastorizzazione progressiva della città e dei suoi modi di rappresentarla.

Ha un po' stufato questo livellamento verso il basso dei personaggi rappresentati sul presepe. È uno schiaffo al vero presepe e tutto ciò che dal punto di vista religioso, simbolico e antropologico esso rappresenta, ma è anche un baraccone che ormai sembra essere sfuggito al controllo degli stessi maestri presepai. È vero che ormai da tempo, come sottolinea Marino Niola nell'intervista pubblicata oggi sul Mattino, il presepe si confronta costantemente con l'attualità e con la cronaca; ma non bisognava arrivare ad Hitler - come dire: dalla nascita di Cristo alla morte per sterminio di milioni di persone - per capire che, a furia di fiutare il vento (per quanto orribile) gli artigiani di San Gregorio Armeno stavano svilendo la loro arte. Un conto è rappresentare Pino Daniele o Maradona, personaggi che hanno compiuto un percorso nell'immaginario collettivo di un popolo, di un territorio, fino a diventare icone; altra cosa è affollare la strada simbolo del nostro Natale - prestigioso luogo del nostro presente, ma anche scrigno di antiche memorie - di pastori raffiguranti vip e starlette, Berlusconi e Renzi, Salvini e Di Maio, Pavarotti o i neomelodici di turno, o i nostri DeMa, DeLu e DeLa, o gli allenatori del Napoli dalle origini ai giorni nostri: tutte belle statuine che con il presepe non c'entrano niente e che i veri amanti di questa nobilissima arte, ne siamo convinti, cominciano a guardare con un misto di diffidenza e imbarazzo.
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