La Napoli di De Bartolomeis: «Io, i giovani e l'arte per Capodimonte»

La Napoli di De Bartolomeis: «Io, i giovani e l'arte per Capodimonte»
di Maria Chiara Aulisio
Venerdì 25 Marzo 2022, 10:45
5 Minuti di Lettura

Il suo obiettivo era uno in particolare: restituire dignità e bellezza alle statuine di Capodimonte. Operazione non facile soprattutto per chi (in verità tanti) ha per lungo tempo utilizzato quelle porcellane come regali da riciclare in occasione di matrimoni e ricorrenze. Valter Luca De Bartolomeis, architetto e designer, non solo ce l'ha fatta a far tornare in auge quelle figurine di porcellana, ma ha anche raccolto il meglio che c'è in un museo dedicato esclusivamente a questi piccoli capolavori riveduti e corretti in chiave moderna. Come il porta babà, oggetto cult della rinnovata produzione di Capodimonte.

Un porta babà?
«Ha avuto un successo davvero sorprendente».

Insolita come idea.
«Lo hanno realizzato a mano i ceramisti della Real fabbrica».

Oggetto nuovo per un dolce antico.
«Il segreto è questo: reinventare senza farsi schiacciare dal peso della storia».

È quello che fate a Capodimonte?
«Ci proviamo».

In che modo?
«Sfruttando tecnologie e materiali all'avanguardia nel rispetto dell'alta qualità e soprattutto della tradizione».

Un luogo da visitare, insomma.
«La mia Napoli direi. Quella che scopro ogni giorno con i ragazzi dell'istituto Caselli, gli artigiani di Capodimonte e i maestri e i designer al lavoro nel Mudi».

Il Museo della ceramica e della porcellana.
«Una sfida che nel 2018 mi ha portato ad abbandonare tutto il resto. Alla fine abbiamo realizzato un progetto che ha messo insieme scuola, opificio e museo didattico».

Tutto nello stesso luogo?
«Per essere chiari: all'interno del bosco ha sede la fabbrica di porcellane, fondata da Carlo di Borbone nel 1743, e, nella Casina della regina, l'istituto superiore Caselli-De Sanctis. La scelta di unire la scuola e la fabbrica rappresenta simbolicamente l'intenzione di tracciare una linea di continuità con la storia».

Come è nata l'idea del museo?
«L'istituto Caselli aveva un patrimonio enorme, una quantità di materiale abbandonato nei depositi.

Mi resi subito conto che una tradizione di secoli stava per andare in rovina. Il museo era fondamentale per raccontare il passato e custodire il presente».

Si può visitare?
«Certo. C'è solo bisogno della prenotazione. Poi saranno docenti e storici dell'arte ad accompagnare i visitatori alla scoperta delle nostre opere. Vi assicuro che è un'esperienza. Mentre ascolti il racconto degli esperti, guardi gli artigiani - spesso anche gli stessi alunni - che usano il tornio».

Capodimonte nel cuore.
«Non solo Capodimonte».

Che altro?
«Via Tribunali».

Per quale ragione?
«Amo molto il centro storico. E poi lì ho conosciuto l'Avventura di latta».

Di che cosa si tratta?
«È un progetto di inclusione sociale per i migranti organizzato nella chiesa di Santa Maria del Rifugio».

Come si concretizza il progetto?
«Con la costruzione di gioielli, oggetti di design, lampade, sculture, installazioni artistiche e tutto ciò che è possibile realizzare con i metalli poveri attraverso le antiche tecniche di lavorazione dei lattonieri e degli orefici napoletani».

Tappa imperdibile.
«Shopping assai originale. In quella piccola chiesa gli oggetti diventano la sintesi dell'inclusione che prende forma e si materializza. Con l'officina - o meglio con l'associazione Theotokos che intercettai grazie a loro - ricordo che ideammo un'altra collezione particolarissima: il presepe liberato».

Collezione di che cosa?
«Scomponemmo alcuni elementi base del classico presepe napoletano e li trasformammo in oggetti di uso quotidiano e di arredamento».

Faccia qualche esempio.
«Immaginate il volto dei Re magi, le braccia dei suonatori, le ali degli angeli che diventano vasi, vassoi, zuccheriere, centro tavola e perfino gioielli da indossare».

Una stravaganza assoluta.
«Il presepe in realtà è un contenitore di bellezza. In quell'occasione ci limitammo a liberarla dalla gabbia della scenografia settecentesca. Tutto qui».

Dove si trovano questi pezzi di presepe rivisitati?
«Sempre a Capodimonte nel museo didattico. Tra le creazioni c'è anche una serie di vasi, in edizione limitata, dipinti a mano dagli allievi dell'istituto. Per realizzarli hanno utilizzato segni e colori delle vesti dei pastori e dei mori della tradizione presepiale».

Sta dicendo che vale la pena prenotare subito una visita?
«Fosse solo per vedere le nostre tazze napoletane».

Tazze napoletane?
«Bellissime. Sono in porcellana, realizzate e dipinte a mano, in platino e oro zecchino, dedicate ai simboli benauguranti più famosi che abbiamo».

Ne dica un paio.
«La sirena Partenope, le carte da gioco, gli ex voto, il cuore di San Gennaro. Li abbiamo trasformati in piccoli gioielli di alta manifattura».

Dica la verità: a lei piacciono le statuette di Capodimonte?
«Il punto non è questo. Quando sono nate erano oggetti innovativi, restituivano l'immagine della cultura e del gusto del proprio tempo. Le avevano create per raccontare il mondo classico».

Ormai sono fuori tempo.
«È chiaro che in quella chiave di lettura non sono più riproponibili. È per questo che abbiamo deciso di ridisegnarle, al passo con la modernità ma nel rispetto della tradizione».

Statuette 2.0.
«Ci abbiamo ragionato su niente meno che con Calatrava».

Calatrava, l'architetto spagnolo?
«Proprio lui. Ha lavorato con i nostri ragazzi, sono venuti fuori una serie di pezzi molto molto interessanti. Venite a farvi una passeggiata da queste parti e poi, delle statuette di Capodimonte, ne riparliamo a quattr'occhi».

© RIPRODUZIONE RISERVATA