Pescapè e l'identità di Napoli: «Meno pizze e Pulcinella oppure restiamo al palo»

Pescapè e l'identità di Napoli: «Meno pizze e Pulcinella oppure restiamo al palo»
di Mariagiovanna Capone
Venerdì 21 Dicembre 2018, 11:00
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Dieci anni fa, Aldo Masullo definiva Napoli una città immobile. Ferma sulle sue ingenuità sebbene ci fossero stati tanti stimoli per una crescita e un riscatto. Una città delusa e frustrata che ritroviamo nello stesso punto ora, con altrettanti stimoli: oggi come allora, corriamo il rischio di non coglierne né il valore né tanto meno i vantaggi. Ribaltare i logori cliché, come ha scritto Francesco de Core nel suo fondo, è ancora una delle azioni più difficili da compiere per i napoletani. Ne è convinto Antonio Pescapè, professore di Sistemi di elaborazione delle informazioni all'Università Federico II e direttore scientifico di Digita, l'Academy creata con la multinazionale Deloitte. Ossia uno dei fautori dei radicali cambiamenti del tessuto culturale che Napoli sta vivendo da tre anni a questa parte. Una rivoluzione che è partita dall'area orientale, da un ex quartiere operaio dove si imbottigliavano pomodori pelati e oggi si lavora con la tecnologia avanzata, si creano app, si pianificano strategie per le aziende. Al campus di San Giovanni a Teduccio si sta cercando di cambiare la deriva della città con le Academy formando una platea di giovani nativi digitali formidabili.

Pescapè ma tutti questi successi in ambito universitario sono in grado di riscattare Napoli?
«Credo di no. Perché da soli non si vincono le partite. Occorre maggiore coesione e condivisione tra istituzioni per poter pianificare, non dico il futuro, ma almeno il presente. Fare un lavoro di squadra, ciò che manca alla politica, sia nel governo centrale che locale».

Un lavoro di squadra che la Federico II ha saputo fare?
«È abbastanza evidente l'impegno che su più fronti l'Università ha profuso. Le Academy sono le punte di diamante di un progetto ampio che ci ha portato alla ribalta internazionale. Apple, Cisco, Deloitte e ora Microsoft, oltre all'italiana Fs. All'estero se ne sono accorti, sono corsi a investire qui, scommettendo sui nostri giovani, investendo sulle nostre capacità organizzative. Eppure è proprio a Napoli che dobbiamo giustificare un successo sotto gli occhi di tutti».

Successo che viene riconosciuto?
«Dai napoletani no. Non viene riconosciuto quanto prodotto con Developer Academy, Digita, Digital Transformation Lab, Mobility Academy come saliente per il riscatto della città, eppure dovrebbe. Qui continuiamo a vedere e glorificare l'oleografia. Pulcinella, la pizza e il mandolino sono il nostro fardello. Questo forte ancoraggio alla tradizione declamato anche dalla politica non porta a niente. Non abbiamo investito su nulla».
 
Eppure le multinazionali puntano su Napoli...
«Puntano sull'Università, che è diverso. All'estero riescono a vedere le nostre capacità e non i cliché. Ci dicono: Siete davvero bravi. Al punto da investire qui e non in un'altra città. Se avessero ascoltato le classifiche tanto strillate, avrebbero dovuto mettere radici da qualche altra parte e di certo non alla Federico II. Eppure è qui che hanno trovato la giusta combinazione tra capacità, strategie e innovazione. E sa cosa dicono i nostri concittadini di questo successo?».

No, cosa dicono?
«Che ci scelgono perché i napoletani hanno la fantasia. Cliché non dissimile da Pulcinella. E non è un caso se in altri campi non cambia nulla. Tutto questo clamore per una bella fiction, cosa ci porta dal punto di vista economico? Qual è il suo valore? Cosa beneficiamo noi napoletani di questa narrazione, che sia letteratura, cinema, turismo, Academy? Nulla. L'economia non migliora, le infrastrutture restano pessime, i trasporti sono da terzo mondo».

Non potrà farlo neanche in futuro?
«La narrazione resta fine a se stessa, glielo assicuro. Non siamo riusciti a costruire niente con i successi di ieri e accadrà lo stesso anche domani. Tant'è che quello che abbiamo fatto è mettere la valigia in mano ai ragazzi che abbiamo formato. Qui non hanno la possibilità di ottenere lavoro per l'elevata professionalità che hanno. Li formiamo al meglio e poi? Ci sono numeri drammatici sui giovani che vanno via dal Sud e pare non importare niente a nessuno. E fanno bene ad andare via: con l'Erasmus si confrontano con città avanti anni luce dalla nostra, viaggiano per l'Europa e al rientro vivono una crisi di identità, perché per loro il mondo è quell'altro. Non si trovano nel racconto della città, dopo aver assaporato una società moderna, attuale che offre possibilità a chi come loro ha grande preparazione. Esportiamo più menti che mozzarella».

Napoli quindi indebolisce?
«Indebolisce anche i successi. Siamo come ingabbiati dentro a una fotografia, solo chi osserva dall'esterno vede il quadro d'insieme e nota ogni particolare, noi invece non possiamo vedere nulla. Otteniamo successi come Federico II, siamo il centro dell'innovazione internazionale ma poi manca il resto: la città, le istituzioni, la politica. Che fanno? Niente. Napoli è una madre-matrigna, che ci vorrà pure bene ma ci soffoca e impedisce di crescere».
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