Napoli, la città degli scrittori che non ama i libri

Napoli, la città degli scrittori che non ama i libri
di Titti Marrone
Giovedì 2 Marzo 2017, 10:15 - Ultimo agg. 11:13
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«Non ci sono andato, non ho avuto la forza di assistere a quello scempio», disse Mario Guida quando, ai primi di febbraio di due anni fa, gli chiesi se quel giorno era stato a Port'Alba, dove i libri della sua libreria erano stati posti in vendita fallimentare dal Tribunale di Napoli, con prezzi scontati fino all'80%. E ora che il patriarca dell'editoria napoletana se n'è andato, tornano in mente le scene che provvidenzialmente lui non volle vedere: il cartello con l'implacabile scritta «Ultimo giorno di vendita, la libreria non apre più»; le pazzesche file mai viste di persone unite più dalla prospettiva dell'affarone che da sincero amore per il libro; la ressa di assatanati dello sconto entrati in libreria ben attrezzati con ampie buste Ikea da riempire con testi acchiappati alla rinfusa dagli scaffali; la tristezza di una signora rimasta a guardare e la sua frase appena sussurrata, «Affollate le librerie quando sono vive, non quando stanno morendo».

Ora la scomparsa di Mario Guida va a sovrapporsi, come in controluce, all'altra recente di Gerardo Marotta, quasi evocando un giro di boa, l'addio a un passato scivolato via per lasciare posto al presente di una città dove sembra esserci sempre meno spazio, sempre meno attenzione per i libri. Dove i 300.000 volumi della preziosa biblioteca messa insieme dal padre dell'Istituto italiano per gli studi filosofici aspettano di essere collocati nella sede di Santa Maria degli Angeli, con la speranza che le promesse fatte a caldo, sotto l'impulso (e i riflettori) del cordoglio collettivo, non cadano piano piano nel dimenticatoio. Cosa che tende a succedere.

Ma poi, come dimenticare la vicenda dei Girolamini, che conferì al binomio «Napoli-libri» una ribalta nazionale da gogna assoluta? Come scordarsi le gesta indisturbate di un suo direttore sedicente principe di Lampedusa, millantatore di docenze universitarie e soprattutto ladro di libri? Marino Massimo De Caro, delegato dal ministero dei Beni Culturali, che fece sparire da lì un numero di libri imprecisato? L'affaire Girolamini diventò incandescente quando a spuntare fuori fu il nome di Marcello Dell'Utri, allora senatore di Forza Italia: risultò in possesso di 14 testi rari sottratti alla biblioteca tra i quali una copia di Utopia di Thomas More del 1518, una del De rebus gestis di Vico e la Legatura Canevari.

Non va trascurato ciò che le scene qui evocate stanno a dirci: cioè, che Napoli non è una città fatta per i libri o per le biblioteche, scarse e poco valorizzate nonostante l'impegno di chi ci lavora. Non è una città per librai, fagocitati da «major» della grande distribuzione come Feltrinelli e Mondadori, né una città di editori nonostante gli illustri precedenti dei Ricciardi e dei Berisio, le gloriose stamperie e tipografie. E non è una città di lettori forti ma nemmeno deboli poiché negli ultimi mesi dello scorso anno, stando a un dato semplice ma molto eloquente dell'Associazione Librai Italiani, su 100 libri venduti in Italia, 22 sono acquistati a Milano, 16 a Roma e solo 4 a Napoli. Su tutta la Campania, del resto, grava la reputazione di fanalino di coda nella vendita di libri e negli indici di lettura. Eppure, le statistiche Istat più recenti, evidenziano un vento benefico che negli ultimi due anni starebbe spirando in Italia a favore del libro, in barba alle profezie sulla «paperless society». 


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