Il Mattino cambia casa:
tre sedi e una sola storia

Il Mattino cambia casa: tre sedi e una sola storia
di Vittorio Del Tufo
Venerdì 14 Settembre 2018, 06:30 - Ultimo agg. 19:59
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Eravamo ragazzi, e il ventre della rotativa ci faceva pensare alla colonna vertebrale di un immenso animale preistorico. Il fragore dei nastri d'acciaio toglieva il fiato, l'odore del giornale appena sfornato ci inebriava ogni sera. Ci sono ricordi che resteranno scolpiti per sempre nella nostra memoria, ma anche nella memoria collettiva della città. Oggi il Mattino cambia casa, portandosi dietro la sua storia che per più di mezzo secolo ha avuto il suo cuore in via Chiatamone 65.

Qui il Mattino ha vissuto per 56 anni, da quando nel 1962, con un ardimentoso trasloco, abbandonò la prima storica sede dell'Angiporto Galleria. Per tutti noi del «Mattino» via Chiatamone 65 non sarà soltanto una cassaforte della memoria, ma il luogo di un destino irripetibile, denso di vita. Una vita che non entra negli scatoloni e che resterà a impregnare questo luogo in eterno. È stato così anche per l'Angiporto Galleria, come un tempo si chiamava l'attuale piazzetta Matilde Serao, o vico Rotto San Carlo. L'Angiporto, una sorta di ventre materno per numerose generazioni di giornalisti e intellettuali napoletani: non solo il luogo dove si fabbricavano i giornali, ma uno straordinario incubatore di storie, sogni, passioni, destini.
 
Piazzetta-ombelico popolata da una straordinaria fauna umana, la Fleet Street napoletana conviveva con una Broadway un po' scalcagnata: la Galleria Umberto era anche crocevia delle attività di spettacolo. Case discografiche specializzate in melodie napoletane, ben tre cinema e agenzie di collocamento di attori, cantanti e soubrettes occupavano appartamenti e soffitte in Galleria.

A donna Matilde Serao, fondatrice del Mattino assieme al marito Eduardo Scarfoglio, è dedicata una lapide nella piazzetta che oggi porta il suo nome. Nel 1892 Scarfoglio e la Serao presero in affitto i locali al primo piano per trasformarli in redazione e in tipografia, mentre i sotterranei furono adibiti a sala macchine. Stanze mitiche, quelle dell'Angiporto, che furono frequentate da fior di poeti, quali Giosuè Carducci («Vidi per la prima volta il Maestro seduto in una bassa e larga poltrona di cuoio, e di rispetto gli sedeva Eduardo Scarfoglio», ricorda Ferdinando Russo) e Gabriele D'Annunzio, che nella sede del «Mattino» comporrà numerose poesie che verranno poi pubblicate in prima pagina.
 
 

Fu Giovanni Ansaldo, che diresse «Il Mattino» dal 1950 al 1965, a gestire il complicato trasloco dall'Angiporto Galleria a via Chiatamone. Che storia, quella di via Chiatamone 65. Una storia cominciata molto tempo prima che «Il Mattino» vi impiantasse le rotative. Io sòngo bona ma so''ntussecosa, cantava nel 1894 Armand d'Ary, chanteuse purosangue, mandando in delirio l'intera città sulle note di «A frangesa», scritta per lei da Mario Costa e inno al café-chantant napoletano di fine 800. E quelle note risuonavano qui, in via Chiatamone, dove un tempo sorgeva il mitico Circo delle Varietà. Da quel palcoscenico passarono le più acclamate compagnie di balletto e operetta, i comici e i cantanti più quotati: Di Giacomo e Costa, Gambardella e Califano, Di Capua e Capurro lanciarono qui le loro canzoni più famose; qui si esibirono, tra squilli di tromba e rulli di tamburi, Eugénie Fougère ed Emilia Persico, Amina Vargas e Nicola Maldacea. E, naturalmente, la frangesa venuta da Parigi, quella Armand d'Ary per la quale tutta Napoli impazzì.

Ma il mondo cambiava, rapidamente. E anche quell'epoca finì. Lo stabile di via Chiatamone, con la struttura circolare dell'ex teatro disposta su tre piani, passò all'Automobil Club. Arriviamo così al 1962: in quegli anni «Il Mattino», che aveva sede all'Angiporto, era un giornale in forte crescita; con la direzione di Ansaldo erano state ideate numerose iniziative speciali, soprattutto all'insegna della solidarietà, come la famosa raccolta di offerte per aiutare i poveri e gli emarginati (Bontà di Napoli, ad occuparsene era Aldo Bovio, figlio del grande Libero). Gino Palumbo aveva rivoluzionato l'informazione sportiva: più pagine dedicate allo sport (con l'invenzione delle interviste dagli spogliatoi) e due settimanali, «Sport Sud» e «Sport del Mezzogiorno». Quando si cominciò a parlare di una nuova sede, Ansaldo borbottò e tentò di sconsigliare il passaggio. Sarebbe rimasto volentieri all'Angiporto Galleria, dove Eduardo Scarfoglio - di cui si sentiva orgoglioso continuatore - aveva iniziato l'avventura giornalistica. Ma Egidio Stagno, amministratore del giornale, fu risoluto. Voleva macchinari moderni, sale più accoglienti, uffici amministrativi, ambienti tipografici adatti alla modernità del giornale. Così fu acquistata l'attuale sede in via Chiatamone, il banco del proto fu sistemato dove sorgeva il palcoscenico e il vecchio teatro delle sciantose cambiò per l'ennesima volta faccia; i lavori furono assai complessi, soprattutto per installare la tipografia al secondo piano e - aggirando le difficoltà derivanti dall'acqua del mare a pochi metri - le rotative al pianterreno. Infine, il 1° maggio del 1962, la redazione del quotidiano prese ufficialmente possesso della sua nuova casa.

E via Chiatamone 65 diventò la casa di tutti i napoletani. Un luogo fisico ma anche simbolico. La città vi si è identificata, riconosciuta, specchiata. Se c'era da far festa, Napoli veniva a far festa anche a via Chiatamone. Se c'era da celebrare un lutto, da stringersi in un dolore, il luogo del lutto e del dolore era «Il Mattino». È stato così nel giorni del colera, in quelli del terremoto. Ma anche nei giorni di Maradona, degli scudetti, dei record di vendite e tirature. Un palcoscenico della memoria viva: da via Chiatamone usciva Giancarlo Siani la sera in cui venne ucciso, il 23 settembre dell'85: gli dedicammo la grande sala del secondo piano, la più prestigiosa. E in una stanza al secondo piano di via Chiatamone, all'indomani del sisma del novembre 1980, fu deciso quel titolo, «FATE PRESTO», che ancora oggi incornicia una meravigliosa stagione di giornalismo e di passione civile.

E poi le battaglie, tantissime, con il giornale sempre schierato in difesa di un territorio duro, difficile, scorticato: per raccontarne le ferite e gli sfinimenti, ma anche per celebrarne le eccellenze e i primati. Tutto da queste stanze, intrise di storia e di storie, in un trambusto di adrenalina e notizie. I volti, sempre presenti, dei colleghi che non ci sono più. E quelli dei maestri che, di volta in volta, hanno insegnato il mestiere ai nuovi arrivati. La sede del «Mattino» è stata protagonista anche di numerosi film: tra questi «No grazie, il caffè mi rende nervoso», con Lello Arena e Massimo Troisi, e «Fortapàsc» di Marco Risi, sul delitto Siani. Tutto questo, e tanto altro, è stato via Chiatamone. Stanze che hanno visto il mondo cambiare, e la nostra professione evolversi, adottare nuovi strumenti, nuovi codici, nuovi linguaggi. Sempre al fianco dei giornalisti, lo straordinario gruppo di fotoreporter della Photosud. Nel 1986 la ristrutturazione dell'edificio, a firma dell'architetto Nicola Pagliara, con la creazione di un nuovo ingresso per il giornale e la chiusura del porticato su via Arcoleo.

Da oggi il trasferimento della redazione nella nuova sede del Centro Direzionale, nel grattacielo «Francesco», progettato dagli architetti Gaetano Caltagirone e Lorenzo Monardo. Un luogo della modernità, un altro luogo-simbolo della città che guarda al futuro. Dove rivive il sogno di un architetto visionario, Kenzo Tange, che negli anni 80 disegnò uno tra i più estesi e imponenti agglomerati urbani di grattacieli dell'Europa meridionale.

Da qui, dall'alto della Torre Francesco, «Il Mattino», in una sede al passo con i tempi, continuerà a essere la casa di tutti, e a raccontare al mondo la storia e le storie di Napoli. Con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto sul futuro.
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