Napoli, morto Pippo Dalla Vecchia. L'ultima intervista al Mattino: «A 90 anni sogno il futuro di Napoli»

Napoli, morto Pippo Dalla Vecchia. L'ultima intervista al Mattino: «A 90 anni sogno il futuro di Napoli»
di Francesco De Luca
Sabato 1 Maggio 2021, 18:01 - Ultimo agg. 19:50
5 Minuti di Lettura

Novant’anni da compiere lunedì, quasi sessanta dedicati al mare. «Nella mia vita ho avuto la forza di aggrapparmi a uno scoglio scivoloso e sono riuscito a resistere. Se a vent’anni mi avessero detto che sarei arrivato ai novanta, non ci avrei creduto». Pippo Dalla Vecchia si racconta dalla casa di Pozzuoli, tra il mare e la Solfatara. «Se eruttasse, non avrei scampo». L’ironia è la sua forza. Signore della vela e titolare di un record, ventidue anni ininterrotti alla presidenza del circolo Savoia, guidato oggi da Fabrizio Cattaneo della Volta, che dedica a Pippo questo messaggio: «Dobbiamo a lui la rinascita, credo che tutti dovrebbero ispirarsi alla sua azione fatta di ambizione nel rispetto della tradizione». Puntualizza Dalla Vecchia: «Andai via nel 2013 e non sono mai più tornato. S’era chiusa la porta per il tiranno illuminato»

La definivano così i suoi avversari?

«Sono stato eletto per dodici volte all’unanimità, poi è scoppiata la democrazia... Sarei dovuto tornare al Savoia per stringere la mano a chi alle mie spalle aveva tramato? Ringrazio gli attuali dirigenti per avermi nominato presidente benemerito e i soci che vengono a trovarmi a casa: è come se venissero a prendere un po’ di acqua santa». Dal 1991 al 2013, una vita vissuta tra sport, re, capi di stato, premier, industriali, ragazzi del popolo.

Ricorda il primo giorno?

«Era il 12 marzo e si presentarono due ufficiali giudiziari. Mi fecero gli auguri per l’elezione e mi spiegarono che erano là per sequestrare gli ultimi mobili perché due dipendenti, cacciati dalla sera alla mattina, avevano fatto causa: dovevamo dargli 85 milioni di lire a testa. Parlai con gli avvocati, risolvemmo la questione e andammo avanti».

La vela come scuola di vita per imparare a superare le tempeste.

«Ne avevo avute due, prima: l’istituto Pontano, dove facevo spesso sorridere i padri gesuiti per il mio carattere, e il circolo Italia. La vela l’ho scoperta a 28 anni. All’Italia mi avvicinò Marcello Campobasso, l’amico di una vita. Ero figlio di un gommista, non avevo antenati tornati col fiocco blu dalle crociate... In quel circolo aristocratico ho iniziato ad amare lo sport, a farmi la barba tutti i giorni, a portare la cravatta, a parlare soltanto se interrogato. Sono diventato una persona perbene. La mia vita era stata furibonda fino a quel momento».

Furibonda?

«Venivo da anni di frenesia assoluta e sguaiata. Come definirebbe un ragazzo che si mette sulla bici, senza dire nulla ai genitori, e se ne va a Roma? La vita l’ho capita grazie al circolo Italia e allo sport».

La prima uscita in barca a vela?

«Un disastro. Si rovesciò ma Campobasso mi invitò a non mollare.

Diventato presidente del Savoia, dedicai alla sua memoria il torneo internazionale della classe Optimist, quella per piccoli velisti».

Perché passò dall’Italia al Savoia?

«Ero consigliere dell’Italia e, quando il presidente Carignani si dimise, pensai che i miei compagni di cordata lasciassero come me. E invece no. A quel punto uscii dal circolo. Antonio Della Morte e Guido Pepe mi convinsero a diventare presidente del Savoia. Arrivammo a novecento soci, dei quali settecento sposati».

E che c’entra?

«C’entra. Settecento soci sposati vuol dire settecento mogli che parlano e influenzano».

Sessant’anni fa Napoli fu capitale della vela con le Olimpiadi.

«Feci una selezione, non riuscii a qualificarmi però il presidente federale Beppe Croce mi nominò assistente di bandiera del presidente di regata. E poi cominciò la mia carriera da dirigente».

E da maestro.

«Ricordo due allievi, oltre a mio figlio Aurelio che ha partecipato a due Olimpiadi: Francesco de Angelis e Picchio Milone. Lui, de Angelis, lo skipper di Luna Rossa, non voleva mai uscire in mare: gli dissi di avere più coraggio e vinse un Europeo juniores. Milone era un talento che non si allenava mai. Sono orgoglioso di aver scelto anche il capo marinaio Francesco Torre, figlio di un barbiere innamorato della vela. Al Savoia abbiamo accolto re, capi di stato, premi Nobel, grandi industriali, ma nel cuore porto anzitutto quei giovani appassionati per lo sport».

Vista dal mare, quanto è cambiata Napoli negli anni?

«Tanto. In peggio. I circoli si sono smembrati, i vecchi dirigenti non ci sono più. Mancano cultura e intelligenza, non vedo né direttori di orchestra né primi violini. Vai in un circolo oggi e non ascolti i soci parlare tra loro. Non c’è più un’anima, si è spento il fuoco. Le potenzialità restano enormi nonostante la crisi: in tre chilometri di costa ci sono cinque circoli, dei quali quattro centenari. Servirebbero bravi contadini per coltivare bene questi campi e consentire ai circoli di riappropriarsi del loro decisivo spazio sociale, sportivo e culturale».

Come festeggerà i novant’anni?

«Con mia moglie Maria Grazia e i miei figli: Aurelio, Marco ed Emmanuele, che ha ventun anni ed è ovviamente velista».

E nel suo futuro cosa c’è?

«Per tre mesi sono stato chiuso in casa, prigioniero come Napoleone a Sant’Elena. Ma il Coronavirus non deve cambiare le nostre vite. La mia? Ho la curiosità di capire come andrà a finire, intanto continuo a muovermi come il polipo nel secchio: ha presente?».

Intervista del 3 giugno 2020

© RIPRODUZIONE RISERVATA