Il Teatro San Carlo è un gioiello, non un ring della politica

di Titta Fiore
Venerdì 3 Maggio 2019, 08:00 - Ultimo agg. 08:13
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A margine dell'approvazione del bilancio del San Carlo, in pareggio per l'undicesimo anno di fila, un piccolo grande record, ha trovato spazio anche una nuova puntata dell'abusata polemica sulle nomine di vertice che a cadenza periodica riguardano questo come altri beni culturali del nostro territorio. E così, invece di rallegrarsi dei risultati raggiunti da una programmazione virtuosa premiata anche da un avanzo di esercizio di 351 mila euro, e di guardare con maggiore serenità al futuro di un'istituzione che dovrebbe essere cara al cuore di tutti i napoletani e a tutti i sostenitori dell'arte - pur senza nascondersi i punti di criticità esposti dalla stessa sovrintendente Rosanna Purchia, per i quali vanno trovate al più presto soluzioni fattive e durature - succede che la discussione si concentri invece sull'eterna dialettica tra istituzioni contrapposte e che l'asticella si sposti sempre un po' più avanti. Non più in alto. Un po' più avanti, più lontana e «smarginata», avrebbe detto Lila, l'amica geniale dei libri di Elena Ferrante.

Subito dopo il positivo incontro a Roma con il ministro Bonisoli per la riqualificazione del rione Sanità, e dopo aver approvato all'unanimità il bilancio nel San Carlo nell'ultimo consiglio di indirizzo di cui è presidente per statuto, il sindaco De Magistris ha annunciato una manifestazione internazionale di interesse pubblico per individuare il successore della Purchia ai vertici del teatro più antico d'Europa. Il mandato della sovrintendente scade a marzo dell'anno prossimo. Tra più di dieci mesi. E la stessa manager aveva peraltro sottolineato, nell'ultimo Cdi, l'opportunità di affrontare per tempo la questione, per il bene del Lirico e per la continuità dei progetti messi in campo.

Muoversi per tempo è sempre una lodevole iniziativa, perché pone al riparo gli interlocutori da soluzioni frettolose e pasticciate prese sul filo di lana, con il fiato di una scadenza sul collo. Ma muoversi «troppo» per tempo, dividendosi su totonomi e schermaglie di posizione, alimentando una guerra di logoramento che poco ha a che fare con la cultura, rischia di esporre anche un'istituzione dello spessore del San Carlo a uno stress test difficilmente sostenibile. E non è di questo che ha bisogno un teatro di tale importanza. Non merita, il San Carlo di Pergolesi, di Mozart e di Rossini, della Malibran e della Tebaldi, di Muti e di De Simone, di farsi pedina di una campagna elettorale, terreno di scontro o alibi intellettualistico. Al di là del suo ruolo di tempio dell'arte musicale, al di là della sua storia multisecolare e della fascinazione che è capace di esercitare su chiunque abbia amore per il bello, il San Carlo è un simbolo per Napoli. È un presidio di civiltà, è la piazza intorno alla quale deve stringersi una comunità riconoscendone il valore identitario. È il passato, il presente e il futuro di una cultura accogliente e perciò aperta al mondo pur essendo fortemente radicata nelle sue origini. Il San Carlo è, anche e prima di tutto, un'impresa con 400 lavoratori che deve poter contare sulla continuità e stabilità delle entrate, su un rapporto virtuoso tra pubblico e privato, sul sostegno di leggi adeguate e di un'imprenditoria dinamica a fronte, naturalmente, di una programmazione artistica degna di un tale impegno. Dopo, solo dopo, si potrà cominciare a interrogarsi sui nomi e sulle prospettive.
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