Nino D'Angelo e la Napoli anni '80 di Sorrentino: «Uniti da Maradona, divisi su tutto il resto»

Nino D'Angelo e la Napoli anni '80 di Sorrentino: «Uniti da Maradona, divisi su tutto il resto»
di Federico Vacalebre
Giovedì 18 Novembre 2021, 11:58 - Ultimo agg. 19 Novembre, 07:28
4 Minuti di Lettura

C'era anche Nino D'Angelo tra gli ospiti d'onore dell'anteprima nazionale di «È stata la mano di dio» al Metropolitan: «Grande film, Sorrentino sa affrontare con leggerezza temi scabrosi, dolorosi, che possono precipitarti nella retorica da un momento all'altro», commenta il cantautore senza giacca e cravatta.
Gli anni 80 di Maradona a Napoli sono anche gli anni Ottanta di «'Nu jeans e na maglietta». «Formidabili quegli anni, diceva qualcuno. Più grazie al Pibe de Oro che allo scugnizzo col caschetto biondo, si intende».

Paolo Sorrentino è più giovane e borghese di te: ti riconosci nella Napoli che racconta, mostra, evoca?
«La classe sociale ci separa. Suo padre, e quanto è bravo Toni Servillo a interpretarlo, lavora in banca, la sua famiglia va al mare, compra una casa in montagna.

Mio padre faceva lo scarparo quando non era disoccupato, non andava al mare e nemmeno in montagna, non comprava una seconda casa perché non aveva nemmeno la prima. È una storia di origini: lui del Vomero, io tra San Pietro a Patierno e Casoria».

Niente ad unirvi?
«Quello che il censo separò lo unì Diego Armando Maradona: nella sua famiglia si aspettava con un misto di incredulità, esorcismo e religiosità popolare il suo arrivo in città proprio come nella mia. Le due Napoli su cui tanto si è scritto sono state unite solo allora. L'ho anche cantato nel mio inno calcistico per i ragazzi della curva B: «È na casa chistu stadio/ parimme na famiglia/ sultanto dint''e cca/ viecchie e giuvane/ cercano dint''a nu pallone/ nu poco e pace nu' juorno nuovo/ ca se chiamma libertà».

La libertà regalata da el D10s durò poco.
«Ma ci levammo gli schiaffi dalla faccia, furono liberi anche solo per cinque minuti, campioni, vincenti, non eterni sconfitti. E Sorrentino e D'Angelo, Paolo e Nino, per quell'attimo vissero nella stessa Napoli: Diegolandia».

Video

Poi tornarono le due Napoli.
«Assolutamente sì. La città che oggi è capitale del cinema lasciò andar via Fabietto Schisa, alter ego giovanile del regista premio Oscar, per inseguire il sogno di fare cinema. Fabietto è orfano dei genitori, ma anche della sua città, lo vediamo solo, abbandonato anche dalla sua città».

Anche tu andasti via da Napoli.
«Sì, ma perché la camorra mi aveva mandato un avvertimento facendo sparare contro la mia casa a Casoria. Mia moglie mi mise davanti a una scelta: o Napoli o noi. Scelsi la mia famiglia, andai via per un altro motivo, ma ero orfano anche io, abbandonato anche io da una città che amo alla follia, di cui non potrei fare a meno, anche quando mi ferisce. In fondo, anche È stata la mano di dio parla di questo».

Insomma le differenze diventano vicinanze.
«Può succedere, ma non posso fingere di essere stato un ragazzo come Sorrentino. Lui incontra, per caso, un ragazzo che guida i motoscafi dei contrabbandieri di sigarette, ci passa una notte vitalissima, lo ritrova in carcere: per lui è una botta di vita, un'iniziazione alla vita. Io, invece, sono nato in mezzo a persone così, le vedevo tutti i giorni».

Non c'è la politica nel film.
«C'è, la città che lascia orfano Fabietto, la stessa che fa fuggire Nino, è la città democristiana, quella del pentapartito, su cui la storia, la politica e le inchieste hanno emesso il loro verdetto di condanna. Il sindaco comunista Valenzi è stato solo una parentesi».

Qualche luogo del film ti ha colpito particolarmente?
«Servillo mostra la Galleria Umberto I come luogo della scoperta dell'amore, sia pur mercenario. Per me era il posto di lavoro, lì si compravano e vendevano i cantanti per le feste, i matrimoni, le cerimonie. Poi mostra la Galleria Toledo, il teatro d'avanguardia: io all'epoca non sapevo che cosa fosse l'avanguardia, per me il teatro era solo la sceneggiata. L'altra notte, uscito dal San Carlo dove abbiamo continuato a festeggiare Sorrentino, sono tornato nella mia Galleria con mio figlio Toni, regista anche lui: la mano di dio ci ha riportati sulla mia strada».

© RIPRODUZIONE RISERVATA