Premio Serao 2021 a Igiaba Scego, la cultura
come mosaico di identità: diretta streaming venerdì dalle 16.30

Premio Serao 2021 a Igiaba Scego, la cultura come mosaico di identità: diretta streaming venerdì dalle 16.30
di Donatella Trotta
Martedì 25 Maggio 2021, 00:03 - Ultimo agg. 26 Maggio, 10:58
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Che colore ha la ripartenza, nell’immaginario collettivo degli italiani? Non il rosso, che ha ingabbiato lo Stivale nella clausura da pandemia, né l’arancione o il giallo dell’allentamento oscillante delle restrizioni; e forse nemmeno il bianco (anodino, fallace, fugace) del «liberi tutti» dal Covid-19. Semmai, suggerisce la scrittrice italo-somala Igiaba Scego, «ha le tinte iridescenti dell’arcobaleno, ponte di luce dopo il buio di ogni tempesta». Non a caso è Igiaba Scego, classe 1974, la vincitrice della quarta edizione del Premio letterario Matilde Serao: il riconoscimento promosso da «Il Mattino» e intitolato alla madre co-fondatrice (nel 1892, con il marito Edoardo Scarfoglio) del quotidiano, che ora ritorna — dopo lo stop del 2020 imposto dal Coronavirus — nel segno della ripartenza, celebrata da una cerimonia-evento trasmessa in diretta streaming dal museo di Capodimonte venerdì 28 maggio (dalle 16.30 sul sito del mattino.it e sulla pagina Facebook del giornale).

Un premio — nel suo albo d’oro, Antonia Arslan, Azar Nafisi e Dacia Maraini — attento a segnalare autrici di valore la cui traiettoria echeggia l’impegno, letterario e giornalistico, di Donna Matilde: scrittrice, prota/cronista e poligrafa infraseculare, pioniera di talento nel campo della scrittura «professionale» e della comunicazione al femminile, napoletana di origini greche e di respiro internazionale capace di veicolare, attraverso i giornali del suo tempo, una cultura dalla parte delle donne, dell’infanzia e dei valori (anche spirituali), con battaglie «militanti» dettate dalla sua anima incline al sociale.

Un’italiana tradotta nel mondo, portatrice ante litteram di un «pensiero meridiano», innamorata della sua città ma capace di andare «oltre», sconfinando con successo e autorevolezza anche all’estero.

Igiaba Scego, italiana «afrodiscendente» dall’identità ibridata, è brillante autrice in sintonia con Serao: nata a Roma da genitori somali in fuga dalla dittatura di Siad Barre (il padre, Ali Omar Scego, era ministro degli Esteri prima del golpe; la madre Kadija, di origini nomadi, le ha trasmesso il gusto del racconto), si divide tra scrittura (letteraria, per adulti e ragazzi, divulgativa e giornalistica) e ricerca indipendente in una dimensione transculturale (e postcoloniale) di sconfinamenti che l’ha resa un «caso» significativo anche all’interno di quel genere noto come la letteratura italiana della migrazione (titolo di un saggio di Valentina Catalano, La Zisa 2016). Definizione, per molti versi, superata, in un Paese come il nostro che già Michel Serres, filosofo e Accademico di Francia, definì nel 1992 in un celebre saggio Il mantello di Arlecchino (con il sottotitolo Il terzo-istruito: l’educazione dell’età futura, Marsilio), efficace metafora sulla storia dell’intera umanità, e sulle feconde mescolanze di culture e persone, che mette in discussione questioni antistoriche come il presumere l’esistenza di civiltà «pure» o «superiori».

Lo testimonia anche una nuova pubblicazione, curata da Igiaba Scego, letterata e pedagogista, con Chiara Piaggio, filosofa e antropologa con un’esperienza pluridecennale nel campo dello sviluppo in Africa Sub-sahariana, della filantropia, dell’editoria internazionale e della promozione dell’odierna cultura afro: il volume, Africana. Raccontare il Continente al di là degli stereotipi (pagine 320, euro 19), è in uscita per Feltrinelli il 27 maggio, alla vigilia del premio Serao. Dedicato alla memoria dello scrittore e attivista kenyota Bynyavanga Wainaina, scomparso nel 2019 a 48 anni, il volume è uno strumento prezioso contro il pensiero unico, la retorica dei «white savior» e la colpevole ignoranza nei confronti del variegato mosaico africano sul quale raccoglie, tra intensi racconti al vetriolo e policromatica arte visiva in omaggio alla storia esemplare di Thomas Sankara, eroe burkinabé ucciso nel 1987 a 38 anni, 19 voci anticonvenzionali di afropolitani (della diaspora, e non solo), affermati o emergenti, scelti in due anni di lavoro dalle curatrici evitando i più noti classici proprio «per declinare al plurale un continente complesso, giovane, multiculturale e sempre plasmato dalla mobilità», spiegano. Un puzzle gigante la cui vitalità, energia creativa e capacità innovativa di trasformarsi lo rende a pieno diritto un’avanguardia del futuro. A cui guardare con occhi liberi. «Vincendo paure irrazionali», dice Scego, «perché gli italiani stessi, in quanto mediterranei, sono creoli: ponte ideale tra Europa e Africa».

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