Premio Troisi, il neo direttore Casagrande: «Massimo mi ha insegnato a non urlare»

Da sinistra, l’assessore alla Cultura del Comune di S. Giorgio a Cremano, Pietro De Martino; il direttore artistico del Premio Massimo Troisi, Maurizio Casagrande e il Sindaco di San Giorgio a Cremano Giorgio Zinno.
Da sinistra, l’assessore alla Cultura del Comune di S. Giorgio a Cremano, Pietro De Martino; il direttore artistico del Premio Massimo Troisi, Maurizio Casagrande e il Sindaco di San Giorgio a Cremano Giorgio Zinno.
di Nunzia Marciano
Lunedì 7 Giugno 2021, 20:11 - Ultimo agg. 21:46
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È Maurizio Casagrande, artista di fama nazionale, attore di teatro e di cinema e di grande esperienza, il direttore artistico della XXI edizione del Premio Massimo Troisi, che si terrà a San Giorgio a Cremano (Napoli), città natale di Troisi, dal 26 al 31 luglio prossimi. A scegliere Casagrande è stata l’amministrazione comunale della cittadina vesuviana, guidata dal sindaco Giorgio Zinno. Oggi la nomina, alla presenza anche dell’assessore alla Cultura, Pietro De Martino. A parlare del ruolo importantissimo di direttore artistico ma anche del momento storico che ancora si vive e di Massimo Troisi è proprio Casagrande. 

Una nomina importante, soprattutto perché il Premio, appuntamento importantissimo per il territorio e per l’omaggio a Massimo Troisi rappresenta il ritorno in presenza ma soprattutto il ritorno in un certo senso al teatro: che sensazione sarà tornare alle esibizioni e agli spettacoli dal vivo?
«Il vivo è la linfa vitale per chi fa questo mestierie e lo ha scelto per il pubblico, per cui la popolarità è solo una conseguenza: questo, infatti, è un mestiere che io ho scelto per la voglia di salire sul palco. In questo caso io sarò dietro le quinte ma costruendo un premio che abbia qualcosa da dire, cercando talento, qualità e divertimento. Ecco. In questo modo, seguendo appunto la qualità, prenderò in mano un premio così importante perché dedicato ad un artista che ha dimostrato che siamo capaci di raccontare le nostre storie a chiunque. Ed il premio sarà rivolto ad una platea il più ampia possibile, per cercare di fare arrivare qualità, talento e capacità a tante persone, in un momento storico come questo, in cui purtroppo le persone sono distratte da tante cose, tante cose anche di bassa qualità». 

Ha dichiarato di voler realizzare un premio all’altezza di Massimo Troisi: che premio possiamo immaginare sotto la sua direzione e con questa premessa?
«Chiariamo subito che non si può fare una cosa a livello di un mostro sacro come Troisi; io cercherò di fare qualcosa che sia alla sua altezza, anche perché non ci sarebbe tempo: in pratica tra 10 giorni deve essere tutto pronto! Le scelte, secondo me, si fanno prediligendo un nome particolare o un qualcosa da dire e i motivi per cui si fa quella determinata scelta possono essere tanti.

Bene, io intendo che la mia scelta deve essere una cosa che mi piace, anche perché difficilmente un direttore artistico fa qualcosa che non gli piace! Sceglierò ciò che è di mio gusto e il pubblico assaggerà il mio gusto e i miei piatti, ecco». 

Un premio nel segno di Maurizio Casagrande, quindi?
«Esattamente. Nel tempo, io ho creato un rapporto col mio pubblico, ampio o meno che sia: magari non avrò tanti “follower”, come si dice oggi, ma ho un pubblico che si fida di me, perché non faccio scelte per pura convenienza. Certo, non è che sono un santo! Ho fatto tante scelte diverse, ma il sapore è sempre quello! Gusto e qualità, ecco ciò che metto sempre. Che poi è sempre personale, eh: non è che ciò che non scelgo non sia di qualità. Ma magari non è nel mio gusto». 

Lo spettacolo in generale e il teatro in particolare, hanno subito danni economici ma anche culturali notevoli a causa della pandemia. Come immaginiamo la ripresa del settore? 
«Come si ricomincia? Eh. Bisogna prima capire (e questo lo capiremo tra un po’) cosa è rimasto. Pensiamo che alcune cose siano ancore vive e invece non lo sono più…»

Tipo?
«Eh tipi i mestieri, ad esempio: ci sono persone che magari non hanno retto il peso di tutto questo e hanno proprio cambiato mestiere. E questo è da considerare». 

Colpa anche dei social? 
«Ma no: i social non tolgono nulla. Anzi. Io non sono contro i social che possono invece aggiungere. Ad esempio, prima della pandemia, ero in scena con un mio spettacolo e anche a teatro ho coinvolto Fabio Balsamo, personaggio dei The Jackal e quindi assolutamente social. Qualcuno pensava che non funzionasse e invece ha funzionato! Vede, io credo che in fondo tutto è possibile, ma non il teatro sui social che è follia,  semplicemente perché il teatro ha bisogno di teatro, di pubblico e di una sala stracolma senza essere dimezzata, e chi fa questo mestiere lo sa, soprattutto se lo ha vissuto in una serata con una sala magari mezza vuota. Il teatro vero, fatto di quinte, di luce e di tutto ciò che gli è proprio, nemmeno nelle piazze regge. Il teatro deve essere fatto a teatro: vive di se stesso, della sua unicità. Il più grande reality è proprio lo spettacolo teatrale in sé perché è qualcosa che non è replicabile: se te lo sei perso, non puoi recuperare nemmeno andando a quello stesso spettacolo la sera dopo perché non sarebbe la stessa cosa. E per questo i social non sono una minaccia per il teatro vero». 

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Tornando al Premio Troisi, come nasce la collaborazione con il Comune di San Giorgio ed in particolare col sindaco?
«È stata un’interlocuzione in cui ho presentato la mia candidatura che è stata scelta. È evidente che la scelta loro, dell’amministrazione, sia legata ad un’idea. Lo immagino, almeno, poi magari scoprirò che ero l’unico al Mondo a presentare la candidatura ma non credo! A parte gli scherzi, credo di essere un attore napoletano che ha fatto un qualcosa nella vita, che poi è ciò ha fatto anche Massimo Troisi, e cioè dire al Mondo che volentieri vuole ascoltare che io sono profondamente, assolutamente, completamente napoletano ma non voglio parlare solo ai napoletani. Perché è questo ciò che succede spesso a noi napoletani e cioè che ci innamoriamo di noi stessi perché siamo bravi, veramente bravi, ma che senso ha per l’artista parlare solo ai napoletani? Anche ai non napoletani deve arrivare la battuta napoletana e sta all’artista falla comprendere varcando i confini, come “Non ci resta che piangere” che ha sbancato in tutta Italia. E si è fatto capire benissimo! Una cosa è usare la propria terra per coltivare le radici e avere un albero con una folta chioma, un’altra è avere solo quella terra e solo quelle radici. E nessuna chioma».

Cosa ha rappresentato Massimo  “mostro sacro”, come lo ha definito lei per il teatro e che ricordo ha di lui? 
«Purtroppo ho avuto poco più che la possibilità di sfiorarlo; io facevo tanto teatro e lui era lontano dal teatro di giro, come si dice in gergo: lui veniva dal mondo del suo trio, meraviglioso trio. Io l’ho sfiorato un paio di volte, dicevo, ma eravamo ragazzi entrambi, agli albori. Ad un certo punto ho visto però, in questo ragazzo un napoletano che parlava sotto voce, provi a ricordare Massimo Troisi che urla…» 

Bhe, in effetti non c’è un Troisi che urla… 
«Ecco, appunto; noi invece urliamo, calchiamo il nostro essere napoletani. Lui mi ha insegnato a non urlare. Eppure non era un attore di teatro, non aveva la storia dell’attore di teatro, ma la grandezza, quella sì. Massimo Troisi mi ha dato un insegnamento enorme: la sua matrice era chiara e non l’ha mai tradita. Nemmeno in film straordinari come Che ora è, con Marcello Mastroianni, sfigurava, anzi non sfigurava affatto Massimo! Se fai un premio con un nome come il suo alle spalle ti devono tremare i polsini, altrimenti non va bene. Lui era un napoletano che non urlava ma che arrivava ovunque. Ed è questo ciò che ho di Massimo, il ricordo di una filosofa e di un modo di vedere profondamente napoletani».

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