Procida capitale della cultura, il regista del Postino: «Ecco qual è il suo segreto»

Procida capitale della cultura, il regista del Postino: «Ecco qual è il suo segreto»
di Titta Fiore
Domenica 24 Gennaio 2021, 09:50 - Ultimo agg. 13:00
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«Procida è perfetta così com'è: con la sua personalità e il suo cuore». Michael Radford ricorda molto bene l'isola dove ha girato scene importanti dell'ultimo film di Massimo Troisi. Anche grazie a lui, da quasi trent'anni il porticciolo, la Corricella, la locanda a ridosso di un dedalo di case colorate dove il portalettere Mario Ruoppolo amico di Neruda scoprì l'amore e l'incantesimo della poesia, sono nel mondo «i luoghi del Postino». E la notizia della nomina di Procida a Capitale italiana della cultura per il 2022, prima isola ad aver conquistato l'ambito riconoscimento, non lo sorprende: le atmosfere, i ritmi della vita, il legame con le radici che non si nega aperture al nuovo, la rendono ai suoi occhi di regista un approdo ideale per i progetti più ambiziosi di rigenerazione umana. Al telefono da Chawton, la cittadina a sud di Londra dove vive con la famiglia in questi mesi di lockdown, dice: «È importante che la gente conosca Procida e scopra il suo fascino. Ma non troppo, non bisogna correre il rischio di rovinarla con gli eccessi della modernità».


Com'era, quando giravate «Il Postino»?
«Intatta, genuina, vera.

Tutto sembrava vivere in un tempo sospeso. Ricordo un'isola non viziata dal turismo di massa, con un vecchio cinema e le strade silenziose. La nostra storia era ambientata negli anni Cinquanta del Novecento, ma lo scenografo non dovette fare un gran lavoro per tornare a quell'epoca».


E Troisi, come gliel'aveva raccontata?
«Massimo conosceva benissimo l'isola, ma non ne parlavamo, lavoravamo come pazzi per finire il film, dividendoci tra Procida e Salina, dove c'erano spiagge più grandi e location più agevoli per lui che era molto malato. A Procida abbiamo girato molti esterni, tra il porticciolo e le strade con gli alberi di limoni dappertutto... Posti incantevoli. Non capita spesso, nel cinema, di non dover modificare un ambiente, lì c'era tutto quello che cercavamo».


Era la sua prima volta a Procida?
«Ci ero già stato negli anni Settanta per un documentario, La Madonna e il vulcano, con Peppe e Concetta Barra. Fu allora che scoprii la sua grande autenticità, la personalità che la distingue da Capri e Ischia. E così, quando si trattò di girare Il Postino, ci trasferimmo sull'isola per buona metà del film. Sono passati ventisette anni da quelle riprese, ma non ho dimenticato Procida. Quando posso, ci torno volentieri. Mi hanno anche dato le chiavi dell'isola, in segno di amicizia. Insomma, lì mi sento a casa».


Ora la nomina a Capitale italiana della cultura: ha suggerimenti?
«Mi piace il suo turismo dal volto umano e il legame con il mare, inteso come un ponte che unisce mondi diversi. E mi piace lo slogan la cultura non isola. La cultura è sempre importante e dobbiamo difenderla e promuoverla con ogni mezzo. Io sono un gran tifoso della cultura del Sud d'Italia e sono un fan di Napoli. All'epoca del documentario La Madonna e il vulcano, grazie alle preziose indicazioni di De Simone ho ripreso le paranze in pellegrinaggio a Madonna dell'Arco e ho filmato lo scioglimento del sangue di San Gennaro».


Ma com'è cominciato il suo viaggio nella cultura napoletana?
«Quand'ero ragazzo, una tv inglese che girava molti filmati in Italia cercava un traduttore. Mi proposi, anche se non parlavo una parola d'italiano. Mi presero. Ho cominciato così, buttandomi a capofitto nell'avventura. Ho intervistato Bertolucci, Eduardo De Filippo, Roberto De Simone... Ho scoperto Napoli e me ne sono innamorato. Con De Simone stavamo sempre in giro, mi fece conoscere la religiosità popolare. Ho filmato la Madonna nera e le processioni dei battenti, ho assistito al miracolo di San Gennaro e alle preghiere delle Parenti del santo: ricordo che gli urlavano epiteti molto coloriti mentre le suore cercavano di coprire le loro voci con i canti sacri e una comunità di fedeli a New York aspettava collegata via telefono la notizia della liquefazione del sangue... Una cosa incredibile. Nella stessa giornata andai alla Mostra d'Oltremare per il comizio di Berlinguer, c'era una folla enorme... un'altra specie di miracolo, un miracolo laico».


Ha conosciuto anche Eduardo: come andò?
«Sì, lo incontrai a Napoli alla Festa dell'Unità, fu molto simpatico e gentile, parlammo a lungo del teatro e poi lo vidi recitare in Natale in casa Cupiello. In Inghilterra Eduardo è molto conosciuto, amiamo le sue commedie».


Purtroppo la pandemia ha chiuso cinema e teatri.
«Tutto è fermo, ed è terribile. Io e la mia famiglia abbiamo lasciato Londra, i ragazzi non vanno a scuola e tutto in città è diventato difficile. Ora ci siamo trasferiti a Chawton, la cittadina dove Jane Austen scrisse i suoi romanzi. Abitiamo in un bosco di querce, è molto bello e fa un gran freddo».


Ha progetti?
«Certo, sono pieno di idee e sto lavorando a distanza a un importante progetto hollywoodiano. È una storia ambientata negli anni Trenta e ha per protagonisti due cantanti dell'epoca, Jeanette MacDonald e Nelson Eddy, famosissimi, come oggi lo è Bocelli. Si amavano, spopolavano in teatro e nel cinema, giravano film più visti di Via col vento. Avevano reso pop il melodramma, sulla scia di Caruso e prima di Mario Lanza e la gente impazziva per loro. Mi piace l'idea di fare della musica classica qualcosa di molto popolare. E nel cast, nel ruolo del tycoon della Mgm Louis B. Meyer, ci sarà Al Pacino».

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