Peppe Barra: «I pastori come l'Isola dei famosi e sul presepe trionfa il cattivo gusto»

Peppe Barra: «I pastori come l'Isola dei famosi e sul presepe trionfa il cattivo gusto»
di Federico Vacalebre
Mercoledì 12 Dicembre 2018, 10:14
3 Minuti di Lettura
Peppe Barra sta per andare in scena nella cattedrale di Minori con la «sua» («nessun altro la difende, così tocca a me, mamma Concetta ne sarebbe felice») «Cantata dei pastori». Ma si scalda subito, se gli parli del presepe con Hitler e Mussolini, ma pure con Belèn e Ronaldo: «Viviamo l'era del cattivo gusto, il presepe-isola dei famosi è l'apice del cattivo gusto, quello che trova spazio addirittura per dittatori feroci è l'orrore. Ma non è un caso che qualcuno voglia mettere il tiranno nazista accanto a Benino, il pastorello dormiente, che questa non tradizione sia mediaticamente diffusa in tutto il mondo, mentre la vera tradizione presepiale muore».

Iniziamo da San Gregorio Armeno?
«Mi sembra via Montenapoleone a Milano, dove tutti vogliono passare e guardare, ma quasi nessuno vuole - e può - comprare. La strada degli artigiani veraci è diventata il laboratorio di un'evoluzione che è involuzione. Gli artigiani non ci sono più, sostituiti da lavoratori spesso stranieri, che sfornano prodotti kitsch, fatti con lo stampino, dimentichi delle storie, e della Storia, che c'è dietro il rito del presepe, insieme sacro e profano».

Eppure ai turisti piace quella via, la affollano più di ogni altra cosa in città, solo le pizzerie vanno più forte.
«Mi intristisco a dirlo, ma tutto quello contro cui io e la mia generazione ha lottato nella sua vita è tornato alla grande. Dalla Nccp in poi mi sono dato fare perché si trovasse spazio per una cultura popolare che non è folklore deteriore, ora vince il folklorismo d'accatto, quello che piace nei salotti televisivi alle signore rifatte che discettano di tutto con signori egualmente, se non peggio, rifatti. Siamo tornati ad essere la città della pizza e del mandolino, però più della pizza, quella è stata adottata anche dall'Unesco e ora ne cianciano dotti, medici e sapienti, il mandolino, come la canzone napoletana tutta, serve solo come contorno oleografico, retorico».

Che fare?
«Insegnare ai ragazzi il gusto, il buon gusto, la storia, il loro passato, senza per questo voler imporre il nostro gusto, la nostra storia, il nostro passato. La Cantata dei pastori è la più antica rappresentazione sacra scenica ancora in vita, quando la propongo a dei giovani scopro nei loro occhi una scintilla che mi fa sperare nel futuro: il loro si intende, io ho già dato. Ma ormai siamo tutti come pastori in un presepe di plastica, nessuno bada al bambinello, nessuno pensa al dramma che quella scena dovrebbe rappresentare, alla promessa d'amore e fede che, per i credenti, trova riparo in un'umilissima grotta».

 

Il problema è napoletano, italiano, globale?
«Il pesce puzza dalla capa e la capa del mondo oggi è più che marcia e non penso solo a Trump. Ma Napoli è relegata al ruolo di pazzariello del mondo, deve far ridere, far piangere, fare effetto, essere zoccola e santa, San Gennaro e Priapo insieme. La nostra cultura nobilissima è svilita, ci sono Pulcinella dovunque ma nessuno più sa che cosa c'è dietro quella maschera, ci sono finti esperti di storia patria che replicano gli errori di vecchi libri. Non muore solo il presepe, solo la canzone, solo il teatro, altra nostra gloria e orgoglio, muore il dialetto, che è una lingua, soffocata non tanto dagli errori di chi lo adatta al presente, di chi non lo sa parlare o scrivere, ma dalla disattenzione delle istituzioni. Hitler e Mussolini nel presepe sono la goccia che fa traboccare il vaso, ma quelli non sono più presepi, questa non è tradizione, ma industria, divertimentificio, luna park delle radici perdute e svendute. Chiamiamolo così e mettiamoci il cuore in pace».

È amareggiato Peppe, ma trova il sorriso che gli serve per andare in scena, stasera replica nella cattedrale di Avellino, dal 22 dicembre al 6 gennaio tornerà a Napoli, al Politeama: «In fondo, finché Razzullo e Sarchiapone vanno in scena è ancora Natale a Napoli, il presepe mi piace, ma all'antica».
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA