San Carlo, Peppe Barra: «Giù le mani dal Teatro, i politici stiano alla larga»

«Beghe intollerabili tra i governanti, il mondo dei melomani non deve accettarle»

Peppe Barra
Peppe Barra
di Ugo Cundari
Venerdì 20 Gennaio 2023, 08:23 - Ultimo agg. 17:47
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Sulla contrapposizione, l'ennesima, tra Comune e Regione sul San Carlo, su un momento così importante per la vita del teatro come l'approvazione del bilancio, un artista come Peppe Barra prende posizione e si schiera a favore non dell'uno o dell'altro, ma del «salotto buono della nostra città, del simbolo stesso della napoletanità più alta e da esportazione». La sua è una posizione condivisibile da chiunque abbia a cuore non gli interessi di una parte della città, o di uno schieramento politico, ma di Napoli e dell'Italia, volendoci fermare qui per non allargare ancora all'Europa ed al mondo l'importanza di un tale patrimonio culturale, che, tra l'altro, in un momento di exploit turistico quale l'attuale, serve anche a dare un'immagine importante alla Napoli da cartolina.

Da melomane, da cantante, da attore, da napoletano, che cosa pensa, Barra, della contrapposizione istituzionale, e politica, sulla pelle del teatro?
«Un momento. Rispondo anche in veste di chi fin da bambino ha frequentato quei palchi, ha contemplato le opere e gli spettacoli in un luogo che è un monumento. Io e tanti come me quando varchiamo la soglia del san Carlo entriamo in un mondo magico, meraviglioso, che cura dagli affanni quotidiani, che insegna la grande bellezza per dirla con Paolo Sorrentino, che comunica poesia.

Andare al san Carlo è una forma di terapia tra le più dolci e le più efficaci che io abbia mai sperimentato. Detto questo, le rispondo che c'era da aspettarselo. Non mi meraviglia più di tanto. E lo dico con la tristezza nel cuore».

Perché non si è meravigliato della divisione nei palazzi del potere?
«Per il semplice motivo che ormai i politici o i loro rappresentanti ragionano con logiche, o sottologiche, che spesso non hanno ben presente il bene comune. E poi io proprio non sopporto quando la politica, per un motivo o per un altro, mette le mani nella cultura, sulla cultura. Lo dico forte e chiaro: i politici devono stare alla larga dalla cultura. Quando si immischiano in faccende come queste, che riguardano un teatro così importante, fanno solo guai. La politica di un tempo, forse quella poteva offrire un contributo non solo economico ma di idee alla cultura, ma oggi non è più così, almeno in Italia».

Come ne usciamo?
«Napoli dovrebbe diventare un regno a parte, governato dalle sue tradizioni e da chi riesce a farsene migliore interprete».

Anche il San Carlo?
«Il San Carlo è patrimonio mondiale dell'umanità, non appartiene né a Napoli, né all'Italia. Non voglio entrare in questioni tecniche come quelle di un bilancio economico, preventivo o consuntivo che sia, né disquisire su chi ha nominato chi per sedere nel consiglio di indirizzo o su come sono stati spesi i soldi dei contribuenti, però forse i politici che sono investiti dell'incarico di occuparsi del San Carlo dovrebbero essere nominati da un'autorità sovranazionale, perché ripeto stiamo parlando di un ente patrimonio di ogni essere umano di ogni nazionalità, italiano, cinese, arabo, groenlandese. Mi aspetto che di fronte a contrasti politici o tecnici sul San Carlo a scandalizzarsi non siano solo i napoletani, non siano solo gli italiani, ma sono sicuro che saranno anche melomani europei, americani, asiatici».

Che consiglio darebbe a chi siede ai vertici di Regione e Comune, a chi per quelle istituzioni siede nel cdi?
«Nessun consiglio, però farei arrivare nelle loro orecchie questi versi: Nu cchiù guerra - è nato già, lo Rre d'amore, che dà priezza e pace a ogni core. Nennillo mio, Tu si sole d'amore, faje luce e scarfe pure o peccatore quanno è tutto niro e brutto comm'a pece, tanno cchiù Lo tiene mente, E o faje arreventà bello e sbrannente. Sono alcuni dei versi di Quanno nascette ninno di Sant'Alfonso Maria de' Liguori. È stata scritta nella seconda metà del Settecento ma è ancora molto attuale».

Perché ha scelto questa canzone?
«Perché è una canzone d'amore, che poi è diventata Tu scendi dalle stelle. Con i suoi versi voglio rappresentare nella nostra lingua napoletana, pure questa patrimonio dell'umanità anche se non per l'Unesco, il mio invito, rivolto ai politici, a sciogliere i loro cuori di ghiaccio, a voler bene alla gente, a non guardare più i loro orticelli, ad avere una visione più umana della vita. Altrimenti, cari miei, per voi Lo nfierno sulamente. È possibile che la storia non abbia insegnato niente a chi comanda? Ma non mi illudo, viviamo in un mondo in cui comandare è meglio che fottere. E comunque, a parte le fiamme dell'inferno per chi si accanisce contro un teatro, le conseguenze di una lotta politica per il San Carlo sono tremende per Napoli».

Perché?
«Che immagine dà una città che tratta un teatro storico tra i più importanti del mondo come se fosse un cinemino di terza categoria? Chiudono le librerie e le edicole, la sale cinematografiche sono in crisi, i teatri vanno avanti tra mille difficoltà, e noi che facciamo? Impediamo al San Carlo di lavorare con serenità, fra l'altro con atti pubblici in modo che lo venga a sapere tutto il mondo? Non si poteva sedersi prima, in separate stanze e decidere cosa fare, come fare e via?».

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