Santiago Calatrava a Napoli nella chiesa di San Gennaro a Capodimonte: «Il barocco nel mio blu dipinto di blu»

Santiago Calatrava a Napoli nella chiesa di San Gennaro a Capodimonte: «Il barocco nel mio blu dipinto di blu»
di Giovanni Chianelli
Mercoledì 7 Luglio 2021, 11:00
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«Sono stato solo un direttore d'orchestra, un piccolo Riccardo Muti che ha potuto contare su musicisti straordinari»: così Santiago Calatrava presentava, davanti al ministro Franceschini e il governatore De Luca, ieri mattina il suo intervento decorativo nella chiesa di san Gennaro al bosco di Capodimonte che era chiusa da 50 anni. «Con Calatrava abbiamo un rapporto antico, quando mi è stata fatta la proposta di una sua mostra qui non ci ho pensato due volte. E così abbiamo fatto un investimento importante, mezzo milione di euro, ben ripagato: l'artista ha prodotto delle ceramiche importanti, che resteranno al nostro patrimonio, e un arredo unico per questa chiesa», rilancia il presidente, attraversando la chiesetta barocca ora caratterizzata dal blu del soffitto, un cielo stellato, dalla luce che filtra dalle porte vetrate su cui si ritrovano le decorazioni.

La campana della chiesa suona dopo mezzo secolo di inattività.

Per Sylvain Bellenger, direttore del museo di Capodimonte, «è la prima volta cge una chiesa barocca viene rivisitata con innesti moderni, è un giorno storico». Anche il ministro torna sul tema: «Tutto si sovrappone: il Medioevo sul Rinascimento, poi sul barocco e sull'arte moderna. Ringrazio Calatrava, ci mostra la strada, l'arte contemporanea può essere inserita nel patrimonio classico».

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Calatrava, come mai si definisce un direttore d'orchestra?
«Perché ho coordinato grandi eccellenze per l'intervento in chiesa: Perotti, il maestro vetraio di Vietri sul mare, gli artigiani delle seterie di San Leucio, in particolare gli Alois, e naturalmente i giovani allievi dell'istituto Caselli-De Sanctis per le porcellane. Uno sforzo artistico congiunto per dimostrare che il nostro tempo, con l'impegno comune di ognuno, è in grado di produrre opere per il futuro. Tessuti, vetri e porcellane sono i tre elementi fondanti del lavoro alla cappella».

Davvero l'ispirazione gliel'ha offerta il bosco?
«Abbiamo ripreso i suoi motivi: fiori, alberi, cespugli, foglie e animali, soprattutto gli uccelli. Nelle nicchie, nei tabernacoli, sulle decorazioni dell'altare si confondono le colombe, i rami degli alberi. Il ritorno alla natura è la cosa che la gente cerca di più nel dopo pandemia. Ma questo deve valere sempre: fare arte non è difficile, basta aprire bene gli occhi attorno a sé, come nel Cantico delle creature. In questo senso dico che siamo stati scelti dal bosco».

Quali gli altri motivi di ispirazione?
«Ogni intervento, sia nei tessuti di seta che sui vetri o nelle porcellane, è un omaggio all'arte italiana. Tutti gli artisti del mondo devono essere grati a questa immensa tradizione. Per i nostri piccoli interventi abbiamo rispettato il genio del progettista, un mio collega, il grande architetto Ferdinando Sanfelice. Possiamo ritrovare i segni della cappella degli Scrovegni di Giotto, del battistero di Ravenna, la Trasfigurazione di Raffaello e la Maddalena del Masaccio. Non mancano richiami anche all'arte europea, la Crocefissione di Rembrandt, la Resurrezione del Greco e la Deposizione di Rubens. E alla croce che, confusa nel cielo stellato o in un frammento di vetro, ritorna in diversi punti. Trovo la croce una perfetta fusione tra simbolo e funzione architettonica».

Natura e arte. E poi?
«L'infanzia. L'arredo deve essere comprensibile ai moderni, e soprattutto ai bambini che potranno guardare all'arte con un linguaggio che gli è vicino. Alcuni tratti sono infantili, riprendono il fumetto».

L'intervento è l'ultimo atto della mostra «Santiago Calatrava. Nella luce di Napoli».
«La luce che ho pensato di esaltare sono i napoletani, custodi di una cultura millenaria, straordinariamente capaci di perpetuare il miracolo dell'arte e della trasmissione delle culture che vi hanno attraversato. Un miracolo, sì, degno di san Gennaro, a cui è intitolata la chiesa. Il rosso presente in alcuni segni è il suo sangue. Il suo miracolo per me ha un valore mistico profondo».

Lei è di casa a Napoli.
«Sono legato da quando ero giovanissimo a questa terra. Quando ero studente mi innamorai di Capri, Ravello, Pompei. Poi ho conosciuto la città, la sua composizione geografica in bilico tra il vulcano e il mare. Un posto unico, quando visito questi luoghi vedo i greci, i romani, gli arabi, tutti i popoli del Mediterraneo. Hanno dato frutti straordinari, uno è il mito». 

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