«Ercole Farnese aveva la pelle abbronzata: così abbiamo analizzato il dna della statua»

«Ercole Farnese aveva la pelle abbronzata: così abbiamo analizzato il dna della statua»
di Maria Pirro
Mercoledì 21 Luglio 2021, 13:14 - Ultimo agg. 22 Luglio, 07:50
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Occhi scuri, barba rossiccia, carnagione olivastra. Queste le sembianze originali dell'Ercole Farnese, l'eroe delle dodici fatiche ritratto a riposo da Glicone nel III secolo dopo Cristo. «Sì, il semidio aveva la pelle "abbronzata", nell'antichità questa tonalità era tipica degli atleti», sorride Cristiana Barandoni, archeologa e responsabile scientifico di "Mann in colours", lo studio che, per la prima volta, analizza i residui di pigmento presenti sull'opera ritrovata alle Terme di Caracalla ed esposta nel museo nazionale di Napoli. 

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L'indagine esclude categoricamente che il semidio avesse i capelli biondi e gli occhi chiari?
«Senza dubbio.

Lo dimostrano i pigmenti della stessa tonalità individuati sulla leontè e sulla roccia della statua. In particolare, l'occhio sinistro mostra dati utili a identificare l’originaria policromia: sul marmo sono evidenti le integrazioni storiche che hanno coperto la sezione originale della scultura, ma sono state anche recuperate tracce di un nero a base carboniosa e di un pigmento a base di ematite. La barba, invece, si presentava di un colore bruno-rossiccio: nelle parti originali sono stati individuati residui di pigmento con le stesse caratteristiche di quelli individuati sulla leontè e sulla roccia. Ma il colore della pelle rappresenta il dato nuovo, più importante. Di estremo rilievo». 

Perché?
«Ancora oggi si discute se le sculture avessero la pelle colorata, in aggiunta alle tinte rilevate su scettri o abiti. E il Mann è l'unico museo pubblico ad aver avviato un progetto così organico in materia. Dall'effetto dirompente».

Cosa prevede?
«Il confronto tra i pigmenti di questa scultura e quelle di altre di atleti che, come pugili sul ring, venivano cosparsi di oli molto densi: la similitudine spiegherebbe il colore ambrato rilevato».

Da quanto tempo il progetto è in corso?
«È iniziato nel 2018, ma è rimasto fermo per un anno a causa del Covid. Sino alla ripresa, a fine 2019».

Quali altre statue sono state già esaminate?
«Oltre 40, al momento. Quasi tutte le sculture della collezione Farnese, provenienti dalle Terme di Caracalla. E poi, stiamo procedendo con quelle della collezione Pompeiana».

Come avviene lo studio?
«Attraverso un metodo codificato solo negli ultimi 10 anni, che prevede l'utilizzo di microscopi potenti per distinguere le tracce di colore dagli inquinanti. Poi, procediamo con due indagini, l'ultravioletto e la Vil (esame specifico per verificare la presenza di blu egizio). Se si troviamo pigmenti, e non è affatto scontato, eseguiamo un mini-prelievo di micron e quindi procediamo con ulteriori indagini che svelano la composizione chimica dei materiali».

Le tracce colorate possono essere dovute anche a restauri, antichi e moderni.
«In questo caso è da escludere al 90 per cento. Ma, per averne la certezza, abbiamo eliminato le cere e già effettuato ulteriori indagini, di tipo molecolare, e non solo. E l'ultima, la più complessa, è quella atomica: fornisce la composizione esatta dei colori originali, in pratica il loro Dna».

È disponibile anche il Dna dell'Ercole Farnese?
«Entro fine mese aspettiamo di conoscere l'esito: il campione è nei laboratori dell'università di Tor Vergata che si è unita al progetto proprio per capire la natura chimica dei pigmenti e mettere a punto prodotti protettivi specifici».

Ossia?
«È in corso anche un monitoraggio ambientale, batterico e virale, nelle sale delle sculture. In base ai risultati degli esami, l'Ateneo può predisporre nano-gel, da fissare attraverso l'aerosol, per tutelare la superficie con tracce di cromia, perché non si degradi». 

Oltre al volto, dove resiste la policromia originale?
«In special modo sulle braccia e sul petto, ma è anche possibile che questo pigmento non sia quello definitivo e venisse usato come fondo per accogliere un'ulteriore tonalità, tendente a un colore bruno chiaro».

Cosa rivelano gi studi sulla criniera del leone?
«Qui il pigmento è a base di ematite (ocra rossa o gialla, da confermare con successive analisi chimiche), e gli stessi colori si ritrovano ampiamente anche sulla base della roccia dove l'eroe si appoggia, come sottolineato dal mio collega Andrea Rossi, che ha condotto le indagini nell'ambito del progetto».

E la ricerca non finisce qui.
«Proseguono le attività di modellazione in 3D per il progetto Caracalla Reborn realizzato in rete con la società Flyover Zone per ricostruire le Terme con il loro straordinario apparato scultoreo: da settembre sono previsti i lavori di digitalizzazione fotogrammetrica del Toro Farnese, che prevedono le stesse ricerche di policromia sull'opera»

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