Lo spettacolo della storia antidoto alla bruttezza

di Titti Marrone
Lunedì 29 Aprile 2019, 08:00
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Prufesso', c'avite fatto arricreà'. Cioè, professore, ci avete deliziato. Così ha detto una signora napoletana a Andrea Carandini alla fine della sua lezione su Agrippina, anche se deliziare non è del tutto appropriato per tradurre arricreare. Perché il verbo napoletano contiene l'idea della nascita a nuova vita, del sentirsi nuovamente creati grazie a mirabolante intervento esterno. E a sentirsi arricreato non dev'essere stata solo la signora, ma i forse novemila, forse più, avvicendatisi a seguire i trenta eventi della prima edizione del Festival della Storia napoletano. Quattro giorni di puro godimento intellettuale e cosa non scontata, divertimento - conclusi ieri, ideati da Giuseppe Laterza, resi possibili a vario titolo da Regione Campania, Scabec, teatro Bellini e da una fitta rete di associazioni, prima tra tutte A voce alta di Marinella Pomarici, e perfino librerie napoletane. Dunque per quattro giorni, da giovedì a domenica, nel centro di Napoli sono state viste aggirarsi da un incontro all'altro persone di diverse età, in maggioranza over 40 ma anche gruppi entusiasti di giovani, che nulla hanno a che fare con raid vandalici, stese, movide dell'illegalità e violenze varie. Gente che di solito non finisce sui giornali ma li legge ed è costretta a constatare nel racconto contemporaneo di Napoli la prevalenza di quelle cose con cui non ha proprio niente a che fare. Persone normali, in maggioranza napoletani o anche provenienti da altri luoghi della regione, attratte dall'idea di storia e da quella di lezioni.

Due categorie associate di norma all'immagine del borioso-barboso cattedratico intento a impartire a una platea coatta e sonnecchiante insegnamenti fuori dal tempo. Persone normali quindi non necessariamente intellettuali, perciò disponibili all'ascolto e aperti alla prospettiva di arricrearsi arricchendosi con un racconto della storia come si deve. Riferita, cioè, da qualcuno che ne sappia incoraggiare quello che il filosofo Habermas chiama il suo uso pubblico. Così necessario in tempi di uso politico della storia, variamente usata e abusata per interpretazioni di comodo o anche manipolazioni e banalizzazioni da fiction tv. 

Al successo della prima edizione del festival hanno contribuito in larga misura la varietà dei temi dibattuti, l'impeccabilità dell'organizzazione e l'alto livello degli studiosi coinvolti, tutti chi più, chi meno capaci di una metamorfosi poco tempo fa impensabile: quella che li ha portati ad abbandonare il convenzionalismo dell'accademia per indossare l'abito del divulgatore, del narratore di vicende del passato illustrate con efficacia da testimoni diretti. E bisognava esserci a sentire Franco Barbagallo, brillante, divertente, arguto nel raccontare la Belle Époque napoletana quasi si fosse trovato all'inaugurazione del salone Margherita nel 1890 tra il gossip di principi, contesse, giornalisti e contesissime sciantose (evocate da una Monica Sarnelli in stato di grazia). 

Ad arricreare con i propri racconti platee traboccanti di pubblico sono stati in molti, come Carandini, Alessandro Barbero, Franco Cardini, Luciano Canfora, Emilio Gentile, Eva Cantarella, Matteo Palumbo e molti altri. Incluso, nella giornata inaugurale, un presidente Vincenzo De Luca per una volta in versione a sorpresa, cioè lontanissimo dal clone Crozza e stimolato da Alessandro Barbano in un dialogo affascinante su storia e politica rivisitato alla luce del tema guida del festival, il passato è presente. Ancora, a decretare il successo del festival sono stati i giovani volontari, gli studenti dell'Accademia di Belle arti e le location: il teatro Bellini, il Mann, il Madre, il Conservatorio, l'Accademia, il Maschio Angioino, i Girolamini. Quelle che hanno suggerito a Giuseppe Laterza di scegliere proprio Napoli per un festival sulla storia. Perché solo qui convivono il luogo dell'arte greco-romana e dell'arte contemporanea, quello della musica, quello dell'antichità. 

Solo a Napoli la storia pulsa così fortemente e in modo ininterrotto nel raggio racchiuso nell'area del centro antico, e quasi la si sente scorrere passeggiando per i decumani, come il fiume carsico della lunga durata descritto da Braudel. Però infine, come sempre avviene, a decretare il successo del tutto è stato il pubblico che si è arricreato. Come quell'altra folla cospicua e colorata e fatta prevalentemente di giovani che, alla Mostra d'Oltremare, ha animato le giornate del Comicon ideato dal bravissimo Claudio Curcio. Persone di ogni età, dunque, attratte dalla grande bellezza napoletana che si chiama storia, passato legato al presente, ma anche creatività, capacità di fondare nuovi linguaggi espressivi. Sovvertendo il codice della bruttezza, acquistando via via maggiore confidenza con una fruizione del bello che, una volta acquisita come esperienza, può e deve diventare abitudine indispensabile. Facendo arricreare sempre più persone, napoletane e non.
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