Napoli, una famiglia tra olocausto e diaspora: «Noi ebrei in fuga sognando Israele»

Napoli, una famiglia tra olocausto e diaspora: «Noi ebrei in fuga sognando Israele»
di Rossella Grasso
Domenica 27 Gennaio 2019, 08:24 - Ultimo agg. 12:29
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La rocambolesca storia della famiglia Cahan, ebrei di origine romena e cultura italiana, si intreccia con uno dei periodi storici più fitti di eventi che finirono per cambiare le sorti dell’intero pianeta. Tutto ciò che successe durante la seconda guerra mondiale, l’olocausto e la diaspora degli ebrei, la creazione dello stato di Israele, ha visto protagonisti la famiglia Cahan. Una storia intricata che Dova, figlia minore, oggi scrittrice e regista, racconta in un libro dal titolo «Un Askenazita tra Romania ed Eritrea», GDS Edizioni. Dova ne ha parlato con gli studenti delle scuole superiori di Napoli riuniti al Comando dell’Aeroporto di Capodichino «Ugo Niutta», durante l’evento «Memoria…per non dimenticare», una giornata dedicata al ricordo delle vittime della più grande tragedia umana della storia.
 

L’associazione culturale Rosa Bianca, ideatrice ed organizzatrice dell’evento e di molte altre iniziative similari sul territorio, ha reso possibile l’incontro fra più generazioni che si sono confrontate sui temi della libertà, solidarietà, memoria e attualità. Un appuntamento in concomitanza con il 27 Gennaio, data in cui furono liberati gli ebrei detenuti nel campo di concentramento di Auschwitz e riconosciuta dalle Nazioni Unite come giornata della commemorazione delle vittime dell’Olocausto. Ne hanno parlato durante l'incontro Tina Bianco, presidentessa dell’associazione Rosa Bianca, Luigi Caramiello, docente di sociologia presso l’Università Federico II, Myriam Guglielmetti, giornalista, Mariano Iodice, direttore agenzia stampa Mediapress e Mons. Doriano Vincenzo De Luca, amministratore parrocchiale della chiesa Immacolata Concezione di Napoli.

Dova ha parlato agli studenti di suo padre, Herscu Saim Cahan, un imprenditore attivista sionista romeno che fu costretto a vivere sempre con la sua famiglia come un ebreo errante della diaspora, nonostante la sua volontà fosse quella di raggiungere lo Stato d’Israele per viverci. «Mio padre ha sempre sostenuto la creazione dello stato di Israele in cui potessero vivere gli ebrei. Non è riuscito a realizzare il suo sogno stroncato prima da un infarto. Nel 1948, non per le persecuzioni razziste ma per l’avvento del comunismo, la mia famiglia ha dovuto lasciare la Romania e andare nella Palestina mandataria britannica. Lì siamo riusciti a rimanere per circa un mese con mia mamma, mio padre e mia sorella. Poi siamo dovuti fuggire ad Asmara in Eritrea». È qui che la famiglia Cahan ha trascorso molti anni, nella ex colonia italiana dove la maggior parte della popolazione rimaneva italiana.

«Durante il periodo del nazismo e delle leggi razziali in Romania non avevamo le SS in casa – continua Dova – Ma il generale Ion Antonescu era alleato con Hitler. La Romania era una regione ricca, contesa tra la Russia e la Germania e già prima della Guerra si erano divisi parte dei territori. Nel ’38 con la promulgazione delle leggi razziali papà fu costretto ai lavori forzati come tutti gli ebrei». Di quella drammatica esperienza Dova non sa molto perché da piccola non osava chiedere, sapendo che avrebbe aperto una ferita enorme. In quel periodo il padre di Dova non mancò mai di dare supporto agli ebrei. Riuscì a fuggire dai lavori forzati ma continuò ad aiutare i compagni rimasti imprigionati. «Non aveva nulla per lui ma mandava aiuti ai compagni e alle loro famiglie. Era una persona molto generosa», racconta Dova. In quegli anni il padre di Dova fu animatore del movimento sionista a Bucarest. Dalla Romania, regione vicina alla Polonia, passarono molti ebrei tra cui anche Carlo Levi.

Nel ’42 incontrò a Bucarest la mamma di Dova che presto sarebbe diventata sua moglie. «Non fecero subito figli perché non sapevano gli ebrei che fine avrebbero fatto di lì a poco – continua Dova – Invece in Moldavia si aprirono i pogrom. Gli ebrei furono trucidati, messi nei treni della morte. Nel giugno del ’41 faceva tanto caldo, li ammassarono in tanti nei vagoni. Molti morirono, altri caddero dai binari mezzi vivi. Agli stessi romeni, quelli più in forze fecero scavare le fosse e lì buttarono i corpi morti o mezzi morti. Un dramma». Intanto quasi sul finire della guerra la zia di Dova, che viveva in Transilvania che già faceva parte dell’Ungheria, fu presa con il figlio di 5 anni e portata ad Auschwitz. Da allora nessuno ne seppe più nulla. Lo zio invece riuscì a salvarsi perché era stato mandato ai lavori forzati.
 
Nel 1946 finisce la guerra e ricomincia l’epoca del benessere e inizia anche l’avvento del comunismo. «Papà continuò anche da Bucarest ad essere sionista – continua Dova – Inviava delle navi in Palestina mandataria britannica con beni e persone. Finirono a Cipro ma lì gli ebrei furono presi e messi nei campi di concentramento fino alla proclamazione dello stato di Israele nel 1948. Mio padre organizzava i centri agricoli perché agli ebrei era vietato lavorare i campi. La terra era la ricchezza e nessuno voleva che gli ebrei si impadronissero del territorio. Mio padre organizzava le mense e accompagnava gli ebrei al porto di Costanza per farli imbarcare per la Palestina». Quando la situazione divenne insostenibile la famiglia Cahan migrò in Palestina grazie all’aiuto di uno zio che riuscì a fargli avere i documenti necessari. Ma appena un mese dopo, furono imbarcati su un aereo per Asmara e lì rimasero per circa 20 anni.

Herscu Saim Cahan riuscì ad aprire una fabbrica di carne in scatola e produceva anche prodotti casher che inviava al neonato stato di Isralele. «Non furono semplici quei primi anni di vita per gli ebrei - racconta Dova – ma tutti avevano sempre una scatoletta di carne di mio padre da mangiare».
Dopo la morte del padre Dova e sua sorella hanno realizzato il sogno di trasferirsi in Israele dove ancora oggi risiede la scrittrice. Cinquanta anni dopo Dova si è riappacificata anche con la Romania, riacquisendo la cittadinanza romena. Oggi da scrittrice e regista porta avanti la memoria della sua famiglia ma che rappresenta la vicenda drammatica subita da gran parte della popolazione ebraica.
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