Il sarcasmo e la cortesia formale non attenuano lo scontro durissimo sull’autonomia differenziata tra il ministro degli Affari regionali Roberto Calderoli e il presidente della Campania, Vincenzo De Luca.
Tre giorni fa il leghista aveva ironizzato: «De Luca è molto più avanti a qualsiasi mia proposta» annunciando che la sua prossima bozza avrebbe ricalcato quella presentata dalla Campania nel 2019. «Leggo dichiarazioni che mi rivolge il (furbo) ministro Calderoli - ha replicato ieri De Luca -. Intanto, provo una profonda commozione per il fatto che un ministro si accorga, dopo quattro anni, che fra le Regioni che chiedono un confronto con il governo sull’autonomia c’è anche la Campania. Si sono fatte riunioni con tre Regioni, con la Campania mai». Ma in cosa consisteva la proposta della Campania e ha ragione Calderoli ad affermare che è «più avanti» della sua? Ecco la verifica dei fatti.
I tempi
Dal luglio 2019 al novembre 2022 sono passati molto più dei tre anni effettivi. Nel 2019 la Lega aveva appena raccolto il 34% dei consensi alle elezioni europee e il governo Conte I si apprestava a firmare le Intese sull’autonomia differenziata con Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, in base a trattative riservate, senza pubblicare mai un documento. La proposta della Campania va quindi letta alla luce dell’obiettivo politico di sedersi al tavolo. Però quel tavolo pochi giorni dopo saltò per la scelta del leader della Lega Matteo Salvini di far cadere il governo.
Le materie
Calderoli sostiene che la Campania è «andata oltre» perché chiede «sette materie molto importanti e pesanti». Ma la sua è propaganda. Intanto le richieste del 2019 di De Luca erano circostanziate (tipo «autorizzazioni paesaggistiche minori»); poi non si possono paragonare sette materie con le ventitré concesse da Calderoli e soprattutto la Campania riconosceva in modo esplicito il «carattere nazionale» di istruzione e salute. «Noi partiamo sempre da una premessa (nel 2019, come nel 2022): difesa rigorosa dell’unità nazionale, a cominciare dal tema della scuola e da quello della sanità». Invece secondo il ministro si possono regionalizzare persino le «norme generali sull’istruzione».
Le risorse
In entrambi i casi non si scende sufficientemente nel dettaglio. Non è chiaro in particolare cosa accada nel caso una riserva di aliquota devoluta a una Regione porti un extragettito.
La solidarietà
La proposta Calderoli si limita ad affermare che l’Intesa non può danneggiare le Regioni che non la sottoscrivono, perdendo di vista il fatto che oggi l’Italia è drammaticamente disuguale e non basta dire a un territorio con servizi scadenti che non perderà un euro. Il testo della Campania è invece improntato a principi di equilibrio territoriale e sottolinea «l’obbligo dello Stato di costituire il Fondo perequativo», mentre per il ministro è sufficiente dire che le Intese sulla autonomia differenziata «non pregiudicano» la perequazione. Una affermazione davvero blanda.
I Lep
Qui c’è una sorprendente convergenza. Entrambi i testi prevedono l’obbligo a definire i livelli essenziali delle prestazioni (fondamentali per assicurare diritti civili e sociali omogenei sul territorio nazionale) entro un anno ed entrambe le proposte consentono di partire con la regionalizzazione anche senza i Lep. Per la Campania si può partire «nelle more», quindi anche immediatamente, fermo restando l’obbligo di Lep entro un anno (ma se poi non vengono definiti, cosa si fa?); per la bozza Calderoli dopo un anno si parte comunque.
Le modifiche
Il tema è un punto debole dell’architettura costituzionale, perché il testo attuale della Carta non dice come si modificano le Intese senza il sì della Regione. Nessuno dei due testi risolve il problema. La Campania indica la possibilità di «effettuare un monitoraggio periodico da parte dello Stato e della Regione «su richiesta di una delle due parti». La bozza Calderoli in merito al monitoraggio afferma che le verifiche possono essere fatte quando le due parti «concordano le modalità operative». Sulle modifiche dell’accordo la Campania non dice nulla mentre la Calderoli prevede che «in qualunque momento» l’accordo possa essere modificato «con le medesime modalità dell’articolo 2» ovvero solo se lo chiede la Regione. Un patto leonino.