Bagnoli, l'eterna ripartenza dopo 25 anni buttati

di Vittorio Del Tufo
Martedì 12 Marzo 2019, 08:00
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Un passo avanti e due indietro. Come in un grottesco gioco dell'oca, Bagnoli torna sempre al punto di partenza. Soprattutto ora che a tirare i dadi è un governo che ha deciso di cambiare le carte in tavola in corso d'opera, fissando nuovi vincoli per gli alberghi e rischiando di prolungare l'agonia di un quartiere diventato paesaggio morto, cimitero urbano, luogo della memoria. In attesa che vengano finalmente impiegati i 320 milioni previsti per la bonifica, confermati ieri dal ministro Lezzi al termine della cabina di regia che si è svolta a Palazzo Chigi, nuove ombre si allungano - dopo un quarto di secolo trascorso a collezionare fallimenti - sul progetto di riconversione dell'area.

È un gran pasticcio questa storia dei pareri rilasciati dagli organismi tecnici del ministero dei beni culturali e del ministero dell'Ambiente. Non è robetta di poco conto. Nei giorni scorsi il direttore generale del Mibac, Gino Famiglietti - lo stesso che ha già bloccato il metrò al Plebiscito per pochi metri quadrati di griglie e il trasferimento provvisorio del Caravaggio dal Pio Monte della Misericordia a Capodimonte - ha vergato l'ennesimo «no», stavolta nei confronti degli alberghi e delle strutture ricettive con vista mare. Gli edifici previsti per destinazione turistico-alberghiera dovranno essere delocalizzate più a nord (oltre via Cocchia e l'Arena Sant'Antonio) «al fine di ridurre l'impatto visivo negativo dell'area, ostruzioni delle visuali, il consumo di suolo in un'area paesaggisticamente tutelata». Non bastavano i ritardi, i veti, i tempi biblici, la malaburocrazia, gli irrigidimenti ideologici, le risse da pollaio tra le istituzioni: adesso si chiede agli albergatori di rinunciare al waterfront.

Se già la zona era diventata poco appetibile per gli investitori con la presentazione del progetto sotto l'egida del commissario Nastasi, oggi il peso dei vincoli e dei paletti rischia di diventare insostenibile anche per i più temerari tra essi. E questo in barba al mare di chiacchiere versate per decantare la vocazione turistica della ex cittadella siderurgica.

Questo ennesimo pasticcio burocratico è figlio di tensioni politiche mai rientrate. E, anzi, riesplose ieri, nonostante i sorrisi di facciata. La Regione non ha mai digerito la nomina del commissario Floro Flores e anche con il Comune, tanto per cambiare, sono volati gli stracci. L'impressione, al termine di una cabina di regia che il governo Lega-M5S ha impiegato un anno per convocare, è che la politica di tutti i colori continui a utilizzare Bagnoli per regolare i suoi conti. Nulla di nuovo: per anni i diversi soggetti in campo, pur obbligati a collaborare sul piano formale, hanno tirato l'acqua ai rispettivi mulini preoccupandosi di demolire le ragioni degli altri.

Ora l'ennesimo stop and go. Che rischia di minare alle fondamenta un progetto di riqualificazione già debole, e poco appetibile per chi, in quell'area, dovrà investire quattrini. Il progetto di rigenerazione urbana è stato cambiato con la richiesta di ben otto prescrizioni, aggiungendo incertezze a incertezze e facendo così traballare l'intera impalcatura del già fragile piano per la rinascita di Bagnoli; un piano, a detta di molti, già poco appetibile per i potenziali investitori e appesantito dalla zavorra dei tempi lenti della giustizia. Parte del territorio, infatti, è ancora sotto sequestro e lo resterà fino a quando non verranno accertate le responsabilità di una bonifica flop. Ora le modifiche in corso d'opera potrebbero rendere necessaria una valutazione di impatto ambientale nuova di zecca. Se l'obiettivo è quello di attirare investitori, la precondizione dovrebbe essere la certezza del cronoprogramma. Ma i tempi sono subordinati all'approvazione dei piani, che continuano a subire modifiche.

Il rischio di un nuovo stop, insomma, è tutt'altro che campato in aria. Luogo di riconversioni fallite e promesse finite al macero, Bagnoli è diventata il simbolo di una certa Napoli dal tempo immobile, risucchiata in un'eterna sala d'attesa dove le decisioni vengono rinviate all'infinito. Ma la città non può concedersi il lusso che questa eterna bonifica si areni per l'ennesima volta.
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