Napoli, dopo 10 anni si chiude l'era de Magistris: la città-laboratorio alla prova d’intesa Pd-M5s

Napoli, dopo 10 anni si chiude l'era de Magistris: la città-laboratorio alla prova d’intesa Pd-M5s
di Adolfo Pappalardo
Venerdì 1 Ottobre 2021, 23:56 - Ultimo agg. 25 Marzo, 02:33
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Numeri a parte (7 candidati e 32 liste per oltre mille aspiranti consiglieri comunali) con le urne di domani si chiude l’era de Magistris. Un decennio caratterizzato da una maggioranza senza i grandi partiti che quasi sicuramente non lascerà eredi, né tracce politiche. Comunque sia, insomma, politicamente parlando, si chiude definitivamente un ciclo. Ed è questo il dato più caratterizzante del voto partenopeo, che vedrà alle urne poco più di 760mila aventi diritto e due incognite: l’incubo dell’astensione e quello del voto disgiunto che potrebbero rivelarsi variabili impazzite sull’esito. Lo sanno bene i candidati in corsa anche se il match si riduce a non più di 3 protagonisti. Ovvero l’ex ministro Gaetano Manfredi in campo con un centrosinistra allargato all’M5s, il magistrato Catello Maresca per un centrodestra orfano della Lega e Antonio Bassolino, l’ex sindaco e governatore che corre da outsider contro il suo stesso partito. A chiudere Alessandra Clemente, erede designata da de Magistris che ha visto quasi tutti i protagonisti di quella stagione fuggire verso le liste dei suoi avversari.

IL LABORATORIO Il voto a Napoli sarà un banco di prova importante per un’alleanza più strutturale Pd-M5s. Patto stilato solo in un’altra grande città (Bologna) che qui assume un valore particolare. Per il Pd che testa uno schema da riproporre già alle prossime politiche; ancor di più per l’M5s che rischia una disfatta generale alle amministrative e Napoli rimane l’unico vessillo da mostrare dal nuovo capo politico Giuseppe Conte.

Che, non a caso, a Napoli è venuto ben 4 volte nel corso della campagna. Ma resta il fatto che il patto Pd-M5s è nato proprio con il governo Conte 2 e replicato all’ombra del Vesuvio in nome di Manfredi (che di quell’esecutivo ha fatto parte) sponsorizzato proprio dall’ex premier. E la vittoria di Manfredi (dato in vantaggio dai sondaggi) serve a galvanizzare il consenso dell’M5s attorno a Conte in questa fase difficile governista.

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IL PRIMO PARTITO Questioni di scaramanzia o meno è la sfida su quale partito sorpasserà l’altro. Nel centrosinistra il match è tra il Pd e l’M5s, con buone probabilità che il secondo risulti vincitore. Ma con i democrat ansiosi soprattutto di chiudere il terribile decennio in cui non solo sono usciti dalla gara per due volte già al primo turno ma si sono ritrovati con percentuali ridottissime. Con il minimo storico 5 anni fa con l’11,64 per cento. Nel centrodestra la gara interna appare un po’ falsata, invece dall’assenza della Lega. Con il risultato che il partito della Meloni risulterà primo. Ma, attenzione, perché c’è un’altra gara (la più agguerrita) che è trasversale alle coalizioni: quella di Azzurri per Napoli, civica di ex Fi in campo con Manfredi contro il partito di Silvio Berlusconi schierato con Maresca. Ed il sogno dei primi è superare i secondi. Vedremo.

IL GOVERNATORE Cambierà il peso specifico di De Luca nel Pd e nel centrosinistra napoletano? È la domanda che si pongono tutti in queste ore, con i democrat convinti come il potere politico del governatore verrà arginato con la vittoria di Manfredi. Non a caso l’ex sindaco di Salerno nelle uniche due occasioni a sostegno dell’ex rettore ha invaso il campo, sembrando commissariare già il nuovo sindaco. Prima annunciando progetti urbanistici come la nuova sede della Regione alle spalle della Stazione centrale, poi lanciando l’ex questore De Iesu come assessore della giunta Manfredi. Tutti smentiscono ma è sembrata un’opa preventiva su palazzo San Giacomo. Ma i democrat sono convinti che visti i rapporti diretti dell’ex ministro con il governo e gli ambienti romani il potere di De Luca si andrà ridimensionando.

L’OUTSIDER In questi mesi ha appassionato e incuriosito i napoletani il ritorno in campo, senza partiti di peso alle spalle, dell’ex sindaco Antonio Bassolino. L’ex vicerè cinque anni fa fu azzoppato alle primarie e rimase ai box. Ma non stavolta. Passo dopo passo, come ama ripetere, ha fatto forse la campagna più intelligente e romanzabile di questa tornata. Tra i manifesti giocati sull’ironia di un suo ritorno e comizi fatti strada per strada. Anche se, da scafato politico, non si è fatto scrupoli non solo di chiedere ma anche di organizzare riunioni con gli esponenti del vecchio centrodestra campano e chiudere accordi. Con il sogno proibito di andare al ballottaggio. Convinto che da lì in poi si gioca tutta un’altra partita in cui potrebbe uscire vittorioso.

IL CENTRODESTRA A chiusura campagna si possono tranquillamente certificare le perenni acque agitate del centrodestra. Iniziando da quel «Me ne fotto dei partiti» pronunciato da Maresca che è diventata la frase cult di queste comunali. Salvo poi fare marcia indietro con «Dobbiamo ringraziare i partiti nazionali e di governo che verranno a dare un contributo», detto un paio di settimane fa. Ed in queste due frasi c’è tutta la parabola politica del centrodestra napoletano che è sembrato non riuscire mai a legare con il magistrato in aspettativa. Atteggiamento ricambiato da Maresca, partito con il sogno di una candidatura civica per passare, via via, a una discesa in campo più tradizionale con i partiti. Con cui però non è mai stato feeling. Anzi. Con il caso unico nella storia delle elezioni in cui i leader dello schieramento hanno fatto di tutto per non incontrare, in occasioni pubbliche, il proprio candidato. Non è il caso di Berlusconi, alle prese con una serie di acciacchi di salute quanto per Giorgia Meloni (Fdi) e Matteo Salvini (Lega). Entrambi a Napoli e in provincia ma mai con Maresca certificando un centrodestra che non è riuscito a compattarsi, come è nel suo Dna, per il voto.

LA LEGA In caso di sconfitta il leader del Carroccio potrà dire di non essere mai entrato in campo. Colpa dell’ufficio elettorale che ha escluso la lista leghista per alcuni problemi formali. Decisione ratificata anche dai giudici amministrativi di primo e secondo grado che hanno decretato incredibilmente il flop della Lega all’ombra del Vesuvio. Vicenda i cui strascichi interni però si vedranno solo dopo il voto nell’ambito di una resa dei conti tutta interna al Carroccio.

La FINE A dieci anni dall’avvento della rivoluzione arancione che anticipò il populismo grillino e spiazzò politologi e sondaggisti, ora si può decretarne tranquillamente la fine. Con il sindaco uscente in corsa alle regionali calabresi e un’erede designata, Alessandra Clemente, abbandonata anche dal suo leader e dal suo partito in questa corsa.

L’INCUBO È l’elemento che non fa dormire sonni tranquilli perché il non voto è la vera variabile che rende imprevedibile questa corsa. Cinque anni fa al secondo turno votò solo il 35,98 per cento dei cittadini (al primo era il 54 per cento) mentre 10 anni fa era il 50 (60,3 al primo turno). E se 5 anni fa il sindaco fu scelto solo da un napoletano su 3, il sogno ora è riportare gli elettori alle urne. In particolare lo sogna Bassolino per farne risultato a lui utile. Ma il non voto è una variabile che potrebbe pesare (negativamente) su tutti.

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