Comune di Napoli, con de Magistris in 8 anni 34 assessori: fuori chi critica

Comune di Napoli, con de Magistris in 8 anni 34 assessori: fuori chi critica
di Paolo Barbuto
Lunedì 18 Novembre 2019, 08:24 - Ultimo agg. 17:43
8 Minuti di Lettura

Tremilanovantadue giorni da sindaco di Napoli, 34 assessori a darsi un rutilante cambio sulle poltrone di Palazzo San Giacomo, in media uno nuovo ogni tre mesi. Un solo assessore capace di resistere a ogni tempesta e restare al fianco del sindaco dal primo giorno ad oggi: Annamaria Palmieri, delega all'istruzione, è l'unica ad aver trascorso per intero gli ultimi 102 mesi al fianco del sindaco Luigi de Magistris, tutti gli altri sono andati via, figli di dieci rimpasti che, negli anni, hanno cambiato forma e sapore alla ricetta iniziale.

ABBIAMO SCASSATO
Bandana arancione, espressione stravolta: «Abbiamo scassato». Luigi de Magistris nel giugno del 2011 pare quasi incredulo di fronte al primo trionfo elettorale. Al suo fianco i primi dodici assessori dei quali, l'avete letto, oggi c'è una sola superstite: ciascuno in quel gruppo credeva nella svolta arancione, in tanti si sono sentiti traditi, hanno abbandonato o sono stati cacciati senza mezzi termini: «Ho creduto al tuo progetto di due anni fa di scassare tutto - scrisse andando via dopo 24 mesi di Giunta Luigi De Falco, primo assessore all'urbanistica dell'èra Dema - mi arrendo alle logiche della politica che conosco e dalle quali mi sono sempre discostato, in specie quando ho abbracciato il tuo progetto».

L'ENTUSIASMO
Quel primo gruppo d'assessori di de Magistris si sentiva figlio di una rivoluzione vera: pronti a cambiare faccia alla città e all'amministrazione; oggi si direbbe «pancia a terra e lavorare». Ognuno si lanciò nell'avventura accompagnato dall'utopistico sogno del cambiamento, della nuova vita amministrativa condivisa, pronta ad aprirsi, ad ascoltare tutti e a rispondere alle esigenze di ognuno.
Invece le tensioni emersero prepotenti, immediate, al giro di boa del primo anno di rivoluzione arancione c'era già chi si sentiva tradito: «Il sindaco sviluppa un astio verso chiunque, anche nel tentativo genuino di aiutarlo, esprime un punto di vista diverso su qualche argomento», dirà Riccardo Realfonzo primo assessore al bilancio, dopo aver chiuso con rabbia ogni rapporto con l'esperienza amministrativa di De Magistris. Prima di lui era andato via sbattendo la porta Pino Narducci, magistrato a Napoli che s'illuse di poter dare il suo contributo ma presto capì che era impossibile. Scontri, tensioni, poi l'approfondimento sul patrimonio comunale: «Guardavamo quei documenti ed eravamo inorriditi», ha detto poi Narducci parlando al plurale perché con lui c'erano Riccardo Realfonzo e Bernardino Tuccillo.

IL FALLIMENTO
Quest'ultimo andrà via portandosi dietro amarezza e disillusione che sfogherà pubblicando un libro nel 2014: «Il sindaco con la bandana. De Magistris e la rivoluzione fallita», concetto che Tuccillo esprimerà anche in molte interviste: «La rivoluzione arancione si è dimostrata l'ennesima beffa ai napoletani».
Il più severo, però, fu Riccardo Realfonzo che guardò le carte contabili del Comune e dopo qualche mese dalla prima elezione di Dema, si presentò nello studio del sindaco: «La situazione è insanabile». De Magistris invece aveva idee differenti così scoppiò la tempesta che portò Realfonzo fuori della Giunta. Ancora oggi i conti del Comune di Napoli sono da brividi, Realfonzo li osserva da lontano e scuote la testa. Pure Alberto Lucarelli, giurista, luminare nella questione dei Beni Comuni e assessore del primo Dema, se ne andò. Niente polemiche in quel momento, quelle sono arrivate dopo qualche anno quando, parlando della vicenda dei Beni Comuni di Napoli, ha spiegato: «Bisogna avere grande passione, professionalità, determinazione e umiltà. Se uno di questi elementi manca, i risultati non si ottengono. Con la presunzione, specialmente se si vogliono fare cose innovative, si fallisce».

IL VALZER
Due anni dopo aver dato inizio alla sua rivoluzione, de Magistris si ritrovò senza l'80% della squadra di governo. Quello è il momento in cui iniziò il valzer di poltrone che è tutt'ora in corso e che, probabilmente, continuerà ancora. Iniziano ad entrare in Giunta nuove figure, che si riveleranno fedelissime. Arriva l'ex compagno di scuola Carmine Piscopo, arriva anche una ragazza giovane e piena di entusiasmo, Alessandra Clemente, figlia di Silvia Ruotolo, vittima innocente della camorra: entrambi sono ancora al fianco del sindaco, con la Clemente che, secondo i bene informati, è pronta a raccoglierne l'eredità e la poltrona da primo cittadino. Il primo consistente turnover del 2013 porta dentro Palazzo San Giacomo anche altri due fedelissimi, Mario Calabrese e Nino Daniele, entrambi trombati nell'ultimo cambio di poltrone, entrambi usciti con dispiacere grande, ma senza polemiche: «Mi sono dimesso con una lettera garbata inviata al sindaco, ma non nascondo l'amarezza provata negli ultimi mesi per le voci circolate sulla mia sostituzione. Le indecorose vicende che hanno coinvolto il consiglio comunale e la maggioranza del governo cittadino hanno reso improcrastinabile una decisione su cui riflettevo da tempo», ha scritto Calabrese che torna a fare il docente universitario a tempo pieno.
Più amaro Nino Daniele: «Il sindaco ha detto che voleva reimpostare un lavoro e chiedeva la disponibilità a ciascuno di noi di mettersi a disposizione. Io non potevo che prendere atto di questa decisione, gli ho anche detto che mi dispiaceva quel che mi stava chiedendo anche se nel rapporto personale con cambia nulla».

IL RECORD
L'assessore dal transito più rapido in una Giunta arancione è una donna, si chiama Monia Aliberti ed ebbe la delega alla comunicazione e al marketing: nove mesi in tutto fra 2014 e 2015 prima di essere sacrificata sull'altare della vecchia politica che impone di fare spazio a chi offre il suo contributo. Il bilancio del 2015 passa per un solo voto, quello dell'unico rappresentante di Sinistra e Libertà in consiglio comunale: si chiama Ciro Borriello e verrà immediatamente aggregato alla truppa di governo della rivoluzione arancione che sembra sempre meno rivoluzionaria. Anche lui resta tutt'ora in Giunta, da quel momento non è andato più via.

IL TERREMOTO
Il vero e totale punto fermo dell'esperienza arancione era Tommaso Sodano, ispiratore del progetto politico e amministrativo di de Magistris. Una richiesta di rinvio a giudizio convinse il Comune a costituirsi parte civile contro di lui, nacque un dissidio che si trasformò in dimissioni.
Erano più o meno gli stessi giorni della sospensione del sindaco per un motivo analogo: de Magistris decise di uscire dal palazzo e fare il sindaco di strada, il suo vice, invece, uscì da Palazzo San Giacomo per non farvi più ritorno: «Non si può guardare solo al passato ma presentare la città del futuro - dirà poi Sodano - Avevo gettato le basi per costruire una Napoli smart city, la città intelligente e sostenibile. Eravamo tra i promotori delle miglior esperienze di innovazione nel nostro Paese. Mi sembra che si sia abbandonata questa esperienza».

LA SVOLTA
Seconde elezioni vinte, meno bandana e volto poco stravolto in questa seconda occasione. Dema decise di confermare la squadra di governo, con il solo addio ad Alessandro Fucito che era stato assessore al Patrimonio nel mezzo della bufera e prese la strada della presidenza del Consiglio Comunale. Squadra confermata, ma non a lungo. Dopo un po' va via Salvatore Palma (che aveva la delega al Bilancio e oggi è amministratore delegato di Napoli Servizi), viene messa da parte anche Daniela Villani dopo dieci mesi da assessore al Mare. Entrano nel gruppone della Giunta Maria D'Ambrosio e Alessandra Sardu. Entrambe saranno defenestrate dopo un anno. La D'Ambrosio che si occupava del verde si sfogherà: «Il mio assessorato era sostanzialmente vuoto, nemmeno lo staff avevo. L'amarezza passerà presto, tornerò a fare l'avvocato a tempo pieno e dare una mano alla città in un altro modo». La Sardu, invece, resta ancora oggi nell'orbita di Dema e continua ad essere fedele al sindaco. Entrano in quei giorni di ottobre 2018 Monica Buonanno e Laura Marmorale. Quest'ultima è stata messa fuori l'altra settimana nel corso del drammatico rimpasto numero dieci: «Il sindaco ha deciso guardando alle prossime scadenze elettorali e io, evidentemente, non rispondevo a questa logica. Non sono delusa, sono dispiaciuta». Da Palazzo San Giacomo la Marmorale ha cercato di portare la sua esperienza in fatto di diritti civili e alla fine della breve esperienza s'è sfogata: «L'accoglienza non è una cosa della quale semplicemente parlare, bisogna attivarsi e non deve essere qualcosa che ricade sulle spalle dei cittadini. Perché se pensiamo di scaricare il problema sulla gente rendiamo i migranti dei nemici della popolazione. Ci vuole una struttura, una rete, che si costruisce col tempo e non solo con i proclami: l'amministrazione di Napoli non è pronta oggi a essere città dell'accoglienza».

L'ULTIMO GIRO
Siamo ai nostri giorni. Il percorso puntuale degli ingressi e delle uscite dalla giunta arancione li leggete nel grafico della pagina precedente, rappresentato come se fosse un gioco dell'oca. I nuovi quattro assessori rispondono, secondo gli analisti esperti, ad alleanze necessarie per avere un presente sereno e un futuro senza sussulti: dentro Eleonora de Majo, Luigi Felaco, Rosaria Galiero e Francesca Menna; fuori i fedelissimi Nino Daniele e Mario Calabrese assieme a Laura Marmorale e Roberta Gaeta, anche lei lungamente al fianco del sindaco a battersi per il welfare nonostante mezzi sempre più ristretti e disinteresse del palazzo.

La Gaeta, qualche giorno prima di andare via, ha scritto una lunga lettera al direttore generale Auricchio sul tema del welfare in una fase «ormai giunta a un punto di non ritorno», senza denaro e senza personale. In quella lettera la Gaeta ha spiegato con rabbia che lo stesso capo di Gabinetto era informato da mesi circa le criticità legate alla mancanza del personale. Ma quella missiva, probabilmente, non è nemmeno stata letta. Dopo un paio di giorni l'assessore è stata messa in panchina: al valzer della Giunta c'erano nuovi invitati e bisognava far ballare subito anche loro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA