«Così nascerà il bitcoin di Napoli: i test nei negozi sono già partiti»

«Così nascerà il bitcoin di Napoli: i test nei negozi sono già partiti»
Mercoledì 26 Settembre 2018, 08:48 - Ultimo agg. 5 Ottobre, 14:35
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Dai tempi del Commodore 64 a quelli dei bitcoin ne è passata di acqua sotto i ponti. Una trentina d’anni e un fiume di bit che si è trasformato in “coins”, monete. Non sonanti, in quanto immateriali. Ma comunque pesanti. «Ho iniziato ad occuparmi di criptovalute dal 2010. Sì, ci ho guadagnato anche un po’ di soldi», racconta Felice Balsamo, 43 anni, studi in Scienze matematiche e fisiche interrotti per il troppo lavoro, ma in compenso tanta esperienza e tanta passione. A lui, Luigi de Magistris ha dato incarico di avviare il processo che dovrebbe portare al bitcoin in salsa partenopea.

Balsamo, come nasce l’idea di una valuta napoletana?
«Se nel 2010 una pubblica amministrazione avesse investito 100 euro nella nascente economia delle criptovalute, si sarebbe ritrovata oggi con più di 80 milioni di euro. Otto anni dopo, vogliamo sperimentare nuovi paradigmi economici». 
La materia è complessa. Può farci capire si procederà?
«Il processo di diffusione della nuova criptovaluta prevede tre fasi: la prima è in corso e coinvolge circa 300 tra divulgatori, economisti, sviluppatori ed esperti in materia giuridica provenienti da tutto il mondo. Un gruppo di lavoro nato ad aprile che, lavorando in videoconferenza, sta gettando le basi per l’utilizzo di blockchain nel campo della trasparenza, delle donazioni e in ambito economico».

Che cos’è un blockchain?
«Si tratta di un sistema in cui un gruppo di soggetti condivide risorse informatiche (memoria, potenza di calcolo dei processori, banda internet) e alcune informazioni, dando vita a un database distribuito. Grazie alla loro memorizzazione su diversi computer, si garantisce la trasparenza dei dati: nessuno, così, potrà modificarli. Non a caso, molte banche stanno adottando questa tecnologia. L’ultima fase prevede il lancio di una serie di servizi legati all’economia cittadina, tra cui una blockchain compatibile con i micropagamenti e di conseguenza una criptovaluta locale».

Quindi sarà possibile fare acquisti?
«Sì. Grazie a un’app scaricabile su smartphone, attualmente in fase di testi, si potrà acquistare nei negozi convenzionati pagando con la criptovaluta. Per il momento lo stanno provando cinque negozi storici della città. Nel corso di qualche anno contiamo di estenderlo a migliaia di attività commerciali».

Quali saranno i vantaggi?
«L’introduzione di una valuta locale muoverà l’economia: nel mondo, e anche a Napoli, tantissime persone hanno criptovalute e non sanno dove spenderle. Alcuni turisti già vorrebbero usare a Napoli i loro bitcoin, e con le Universiadi questa richiesta aumenterà. Noi stiamo studiando degli incentivi: chi comprerà qui otterrà un piccolo guadagno. E potremmo regalare ai meno abbienti criptovalute da spendere in supermercati convenzionati».

Ma ci guadagnerà soprattutto il Comune.
«Non posso entrare nel dettaglio, comunque i margini ci sono. Preferisco dire, però, che ci guadagnerà il sistema».

La legislazione vigente, però, non consente a un’amministrazione pubblica di incassare in criptovaluta.
«Esatto. Infatti non incasseremo noi. Ma non voglio andare oltre».

Nascerà un soggetto intermedio tra negozianti e acquirenti?
«Ripeto, spiegheremo tutto nel dettaglio più in là. Per il momento, stiamo studiando il mercato: la fase di test durerà 6-7 mesi. Quando saremo pronti, sostituiremo i bitcoin con la nostra valuta. Quella, a differenza dei bitcoin, che non sono nati per i micropagamenti, avrà caratteristiche tarate sulle esigenze di Napoli».

Quanto varrà un bitcoin napoletano?
«Partiremo con un rapporto di uno ad uno con l’euro, ma speriamo che dopo acquisterà valore».
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