Elezioni 2022, i tabelloni per i manifesti elettorali dimenticati dal tempo nell'era di Instagram

Elezioni 2022, i tabelloni per i manifesti elettorali dimenticati dal tempo nell'era di Instagram
di Antonio Menna
Giovedì 25 Agosto 2022, 08:00 - Ultimo agg. 26 Agosto, 08:25
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Sono ricomparsi ai lati delle strade, gli inutili tabelloni comunali per le affissioni elettorali, malinconici come i ruderi di una fabbrica abbandonata, e vederli stringe il cuore nel petto: una foto ingiallita dell'infanzia che spunta a tradimento da una vecchia scatola. C'era una volta la colla Sichozell, quella da diluire nell'acqua, che si usa per i parati di carta, per chi li mette ancora; c'erano una volta la scopa, il secchio e il bagagliaio delle auto pieno di manifesti, e quella snervante guerra delle affissioni che contrapponeva liste a liste, e candidati a candidati sotto lo stesso simbolo. Passava un gruppo, attaccava veloce i suoi manifesti, ne passava subito un altro e ci metteva sopra i suoi, a volte risparmiando anche sulla colla. Mucchi di manifesti strappati, cumuli di carta straccia. Spesso finiva anche a botte, soprattutto nelle ultime ore dell'ultimo giorno, se non peggio. Prove di forza, di presenza: faccioni, simboli, slogan improbabili, la croce sul partito, scrivi così. Cronache di un millennio fuggito, diario del secolo scorso. Ora quei quattro pali di ferro, quei laminati arrugginiti, da cui spuntano anche vecchi manifesti non rimossi, carte incollate così bene da resistere al tempo, simboli sbiaditi e mangiati dagli anni, a volte di competizioni recenti e altre molto indietro nel tempo; quei tabelloni che si allungano come soldati un po' stanchi all'alzabandiera della sera, sono più un simbolo del passato, che una cosa davvero utile.

Ma arrivano, puntuali, a ogni elezione, a ricordarci leggi vecchie e tempi andati, a smuovere in qualcuno anche un po' di cenere nostalgica: i bei tempi di una volta.

Il paradosso è che a viale Acton, ai Colli Aminei, al Vomero, nella zona ospedaliera, a Santa Teresa, in tutti i luoghi dove, come zombie, in queste ore sono rispuntati i tabelloni malconci, con una banda blu superiore dove sarà collocata l'etichetta del partito a cui viene assegnato, e una lamiera consumata su cui mettere il manifesto, la propaganda con le affissioni va avanti già da settimane. 

Ma altrove. Con altri mezzi. Il volto pronto di Giorgia Meloni, le frasi e il sorriso del credo di Matteo Salvini, il simbolo del Pd con uno slogan: grandi manifesti murali sui palazzi privati, sulle postazioni pubblicitarie classiche, sui totem, sui cosiddetti 6x3, che irruppero anni fa per intuizione del pubblicitario per definizione, Silvio Berlusconi, e mai più spariti. Pubblicità a pagamento, che campeggia settimane prima, testimoniano budget cospicui da investire, come per chi si è preparato in tempo a una corsa lunga. Quei manifesti, quelle affissioni pubblicitarie vere e proprie, ora, a norma di legge, trenta giorni prima del voto, dovranno sparire. E tutta la propaganda delle affissioni dovrà trasferirsi sulle lamiere comunali. Ma chi ci crede? 

Nelle ultime tornate elettorali i tabelloni comunali sono stati usati poco e in modo occasionale. Poche proprio le affissioni. Non si sono quasi più viste le scene di una volta, quando il manifesto selvaggio debordava anche dagli spazi: si affiggeva ovunque, sui muri, sui bidoni della spazzatura, sui pali della luce. Ora non si fa quasi più. La politica è cambiata, la comunicazione si è rivoluzionata: chi va ad attaccare i manifesti con la colla negli spazi ufficiali? Ma allora che senso ha continuare a mettere queste tabelle, che sono anche brutte? «Noi siamo obbligati per legge», dicono al Comune. Ed è vero. Solo che si tratta di normative di decenni fa. La legge 212 del 1956, dal titolo Norme per disciplinare la propaganda elettorale, poi modificata in parte dalla legge 130 del 1975. Nel frattempo tutte le tecniche di comunicazione si sono rinnovate almeno tre, quattro volte. La televisione commerciale, la stampa in digitale, il web, i social. Ma la legge è ancora quella lì. Così, tra il 33esimo e il 30esimo giorno prima del voto, i comuni sono obbligati a noleggiare, o tirare dagli scantinati per chi li ha comprati, questa batteria di scheletri e piazzarli. Per una città come Napoli, che sta poco sotto il milione di abitanti, ne servono a norma di legge non meno di cento. In ogni quartiere, in ogni zona. Una spesa inutile? Sicuramente. Ma a quanto pare irrinunciabile. Un segno di attaccamento al passato, un simbolo forse di una politica che non c'è più. Tra l'altro, coi listini bloccati, i collegi sicuri, i seggi blindati, non c'è nemmeno più la folle corsa dei candidati a farsi conoscere. Qualcuno maliziosamente dice che alcuni tentano di fare il contrario: non farsi riconoscere. Inabissarsi. Oppure, come ormai accade, spostare l'asse della propaganda altrove. Impazzano i post sponsorizzati sui social. Facebook e Instagram, ormai, sono le vere tabelle. Con il paradosso che non c'è nessuna norma a regolamentarle. 

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