Elezioni comunali a Napoli, D'Angelo candidato sindaco: «Deluso dal centrosinistra»

Elezioni comunali a Napoli, D'Angelo candidato sindaco: «Deluso dal centrosinistra»
di Luigi Roano
Martedì 4 Maggio 2021, 10:00 - Ultimo agg. 5 Maggio, 10:04
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E sono tre, ma presto diventeranno quattro o forse cinque e anche di più i candidati a sindaco nel campo del centrosinistra. Ieri Sergio D'Angelo ha sciolto la riserva: il manager della Gesco, le cooperative rosse attivissime nel sociale, scende in campo. Prima di lui lo hanno fatto Alessandra Clemente e Antonio Bassolino. Potrebbe pensarci Gennaro Migliore - parlamentare renziano - che assieme al suo partito a Napoli chiede le primarie. La sostanza politica è che su quella sponda manca solo il centrosinistra tradizionale, quello con il Pd, la sinistra di governo e il M5S. In odore di nomination ci sono l'ex ministro e rettore Gaetano Manfredi e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Enzo Amendola per i dem, e il presidente della Camera Roberto Fico per i grillini. Le quotazioni sono fifty-fifty. Se ci sarà alleanza solo uno correrà verso Palazzo San Giacomo altrimenti ciascuno andrà per la propria strada e ci si rivede al ballottaggio, ipotesi, quest'ultima, abbastanza remota. D'Angelo ha incontrato Manfredi e Fico e ha parlato con i rispettivi schieramenti e poi ha deciso di scendere in campo: un atto di sfiducia nel centrosinistra? Può darsi, ma mancano 5 mesi al voto e tutto può accadere e magari quella di D'Angelo potrebbe essere una mossa per posizionarsi in prima fila per un accordo con il centrosinistra in caso di ballottaggio. O Chissà, in caso di candidato unitario del centrosinistra potrebbe fare un passo indietro prima che si aprano le urne. Certo è che per il Pd - comunque la si veda - è tempo di riflessioni e di interrogativi: Bassolino e D'Angelo è gente di sinistra, quella popolare e che soffre ancora di più in epoca di pandemia, perché si allontanano dal Pd fino a diventarne avversari? Entrambi e anche la Clemente non hanno un partito alle spalle perché non si appoggiano ai dem? Ecco, se il Pd vuole vincere la sfida lanciata di diventare il primo partito in città, quello che guida il centrosinistra, deve darsi delle risposte. Tra queste c'è chi trova indigesta la liaison con il M5S. E forse non è solo un caso che l'unico a tenere alta la bandiera del Pd in Campania e a Napoli negli ultimi 10 anni è stato il governatore Vincenzo De Luca che i grillini li ha battuti. E non ha mostrato nessuna sudditanza.

D'Angelo si è candidato durante un webinar organizzato dai suoi sostenitori su facebook, le motivazioni della discesa in campo sono taglienti per i partiti: «Non è stata una decisione semplice - spiega - sia perché non mi appartengono le fughe in avanti sia perché sono un convinto sostenitore, ancora adesso, della necessità di una vera unità tra tutte le forze democratiche e progressiste».

Una critica decisa al tavolo del centrosinistra dove pure invitato non si è voluto sedere e spiega pure il perché: «Ho atteso che la politica tradizionale desse risposte concrete, ma ho atteso invano. Napoli è stata lasciata sola nel momento più difficile e per questo ho deciso di rompere gli indugi e proporre un progetto inclusivo, aperto, che sia in grado di coinvolgere e appassionare le napoletane e i napoletani e che abbia un obiettivo chiaro, semplice e realizzabile: migliorare radicalmente la qualità della vita dei cittadini». Boccia i partiti D'Angelo, però precisa: «Noi i partiti li vogliamo magari un po' diversi da come sono, noi siamo il terzo settore da dove arrivano idee e azione, perché siamo i primi a dare risposte ai napoletani in maniera concreta». Quindi il sì a «una legge per Napoli, anzi per tutti i comuni in difficoltà, in queste condizioni per i tagli dello Stato, Napoli ha 2,7 miliardi di debiti ma in 10 lo Stato ha tagliato anche oltre 2 miliardi». 

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La discesa in campo di D'Angelo è anche un po' la risposta all'intervista rilasciata a Il Mattino dal presidente del Pd Paolo Mancuso che ha parlato «di accordo quasi fatto con il M5S» facendo il verso alle parole del ministro grillino Luigi Di Maio che fece infuriare De Luca. L'effetto è stato lo stesso negli alleati. In Iv bollano come «atto di arroganza» le parole dell'ex pm e presidente piddino. Gli alleati si chiedono - a questo punto - per quale motivo ci si debba sedere al tavolo e presentare gli emendamenti al documento politico unitario se tutto è già deciso: dal candidato al programma alimentando ulteriori dubbi in chi intorno a quel tavolo non vedono l'ora di andarsene. Di più, anche i deluchiani dopo l'ultimo incontro sono rimasti abbastanza delusi dalle parole di Mancuso. Hanno condiviso il cosiddetto «preambolo» politico per definire il «perimetro della coalizione» ma prima di accettare vogliono vedere la firma in calce del M5S in particolare sotto al paragrafo dove si parla di sinergia con la Regione. Giulio Di Donato, presidente di Riformismo oggi, è molto critico. «Dal presidente del Pd, nell'intervista a Il Mattino, toni padronali che confermano un piglio egemonico verso i riformisti ed una disponibilità gregaria verso il grillismo» la sua stoccata. 

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