M5S e Fdi, boom di voti; niente exploit per il Pd a Napoli

M5S e Fdi, boom di voti; niente exploit per il Pd a Napoli
Lunedì 26 Settembre 2022, 00:10 - Ultimo agg. 13:41
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L’allerta meteo arancione tendente al rosso che coincide con le elezioni per il rinnovo del Parlamento sembra un segno del destino, uno di quei segni che gli dei dell’antica Grecia inviavano ai grandi condottieri in guerra, presagio di gloria e di sventura. Ma qui, ai nostri giorni, di epico c’è ben poco. E allora senza scomodare gli illustri Omero e Senofonte, è meglio fare un passo in avanti di oltre duemila anni e rifugiarsi nell’attualissima opera di Nicola Pugliese, «Malacqua», che ben si adatta alla giornata di tregenda di ieri e a una città in perenne attesa di un accadimento.

Tempesta politica e tempesta meteo si sovrappongono. Dalle urne escono nuovi equilibri e nuovi rapporti di forza. Il centrodestra, trainato da Fratelli d’Italia, vince anche in provincia e si accaparra la grande maggioranza dei collegi. Il M5s dimezza i voti del 2018 ma mantiene un consistente zoccolo duro. Il Pd resta una grande incompiuta, non sfonda, galleggia, certo migliora il risultato di quattro anni e mezzo fa ma non può bastare per gridare a un successo che non c’è. Il terzo polo si mantiene sulle aspettative della vigilia. Italexit gioca sul filo del quorum. Tutto il resto combatte al di sotto della soglia di sbarramento del tre cento, compresi l’Unione popolare dell’ex sindaco De Magistris e Impegno civico del ministro degli Esteri Di Maio (l’atterraggio, dopo il volo in pizzeria, è stato un brusco risveglio).

A voler tentare, una prima e parziale analisi, le urne confermano ancora una volta la tendenza del passato, un saliscendi da montagne russe dal quale Napoli non è esente.

Il voto liquido passa da un contenitore a un altro con disinibita disinvoltura, gli elettori non scelgono sulla base di una convinzione politica ma scommettono di volta in volta sul leader e sul partito che in quel momento vanno di moda e che vengono guardati come gli ennesimi salvatori della patria. Il M5s ha dimezzato il 54 per cento del 2018; il Pd del 40 per cento nel 2014 è un pallido ricordo; Fratelli d’Italia, che nel 2018 aveva ottenuto in provincia di Napoli un misero 2,5 per cento, oggi veleggia intorno al 20 per cento dei voti, molti dei quali sottratti agli alleati di Forza Italia. Il terzo polo spunta dal nulla e cattura gli scontenti moderati di destra e di sinistra. Forse, l’unico elemento di continuità lo si riscontra nella Lega che, nonostante le ripetute sortite di Salvini e i tentativi di lavarsi la faccia togliendo dal simbolo la scritta Nord, a Napoli e in provincia ancora e sempre è percepita come una forza a trazione nordista. Parlano i numeri: 3 per cento alle politiche del 2018; 4 alle regionali del 2020; assente alle comunali del 2021; tra il 3 e il 4 oggi, stando alle prime proiezione.

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Nelle sedi dei partiti, anzi nei comitati elettorali perché delle vecchie sezioni si sono da anni perse le tracce e non se ne trovano neppure a cercarle con il lanternino, l’attesa dello spoglio è febbrile. La notte è lunga. La posta in gioco è alta. I televisori sono sintonizzati sugli speciali che impazzano tra Rai, Mediaset e La7. Lo zapping è quasi ossessivo, ci si divide sui conduttori manco fossero Coppi e Bartali. Meglio Bruno Vespa o Enrico Mentana? I primi exit poll esaltano chi è in testa, non abbattono chi sente odore di sconfitta. Nell’uno o nell’altro caso le bottiglie di spumante restano riposte nei frigoriferi. Volano le chat su whatsapp. Si fanno calcoli e algoritmi, qualche nostalgico ancora somma i voti con foglio e matita. Attendiamo i risultati veri, almeno le proiezioni, aspettiamo il voto nei collegi, è il ritornello che passa di bocca in bocca, l’unico che unisce sinistra, centro e destra. Tanto alla fine, com’è da tradizione consolidata, tutti avranno vinto e nessuno avrà perso. È sempre tutta questione di zero virgola. Intanto, fuori la pioggia non dà tregua, il maltempo si è aggiunto alla sfiducia nella politica e nei politici e il dato dell’affluenza dice tutto. Napoli è fanalino di coda, detiene una delle peggiori percentuali d’Italia e non è certamente un vanto. Ma questo dato, nei comitati elettorali, sembra solo un dettaglio accolto con una alzata di spalle e invece è il cuore del problema: davvero a Napoli il livello di disaffezione ha raggiunto livelli così alti?

Sul terreno restano i cocci di una campagna elettorale tra le più brutte della storia repubblicana, una campagna frettolosa, ricca di slogan e invettive, di velleitarie promesse, di domande rimaste senza risposta, di dubbi non diradati. Il Patto per Napoli, per dirne una, che fine farà? I leader hanno fatto a gara per garantire che non sarà toccato, ma le nuvole ancora si addensano sul cielo della città. Bagnoli, la zona orientale, i fondi del Pnrr, il destino dell’area metropolitana, tanti e troppi sono i temi e le scadenze e Napoli non può restare sospesa in una eterna attesa. Lo stesso fatto che i capi dei partiti si siano precipitati a Napoli negli ultimi sette giorni di campagna elettorale desta il sospetto che la loro sia stata una mera scelta opportunistica per giocarsi un collegio contendibile più che una convinta azione a favore della città. Non a caso, vista l’aria che tira e i voti che porta, tutto si è ridotto a uno sterile dibattito sul reddito di cittadinanza, tra chi lo difende a denti stretti, chi vuole cancellarlo, chi sostituirlo, chi modificarlo, chi migliorarlo, con buona pace degli elettori storditi da distinguo e bizantinismi incomprensibili.

A conteggio ultimato, quando il quadro sarà chiaro e si saranno conosciuti anche i nomi degli eletti, arriverà il momento della riflessione, semmai i partiti avranno voglia e capacità di farla. Certo, che si vinca o si perda, nessuno potrà esimersi. I nodi sul tavolo sono tanti. A Napoli, per esempio, il sindaco Gaetano Manfredi è stato ed è uno dei fautori del campo largo, lui che governa con una maggioranza che tiene dentro Pd, M5s e Italia viva. Peraltro, anche in provincia, da Pomigliano a Giugliano non mancano le giunte rossoverdi. L’esito del voto avrà ripercussioni sulla tenuta di queste coalizioni e sulle amministrative della prossima primavera? E inoltre c’è da capire come Pd e M5s assorbiranno l’esito del voto. Soprattutto nel Pd, dove si dà per scontata l’apertura di una lunga e complessa fase congressuale che toccherà molto da vicino anche Napoli dove la gestione delle candidature ha generato molti malumori soprattutto per la decisione di paracadutare uomini e donne estranei al territorio.

Ma una fase di riflessione riguarderà anche i partiti della coalizione vincitrice. Il centrodestra canta vittoria ma rispetto al 2018 gli equilibri sono cambiati. Allora Forza Italia era ancora il primo partito con il 18 per cento, Lega e Fdi non andarono oltre il 3 e il 2 per cento. E soprattutto dalle urne esce un centrodestra certamente più forte, e non ci voleva molto dopo il misero 17 per cento raccolto alle regionali del 2020. Oggi Fratelli d’Italia rivendica il ruolo di prima forza della coalizione e il risultato è destinato a pesare nelle scelte future. Con una Lega che a Napoli non riesce a sfondare, bisognerà anche capire come e quando Forza Italia, che esce da una campagna elettorale di scissioni anche pesanti, saprà riproporsi come forza moderata della coalizione. Oggi più che mai, visto che il buon risultato che il terzo polo ha ottenuto anche a Napoli lascia intendere che l’area centrista può aver trovato una nuova collocazione.

Scenari tutti aperti, insomma, mentre nella notte si contano i voti e gli unici a dormire sonni tranquilli sono i sicuri eletti, i privilegiati delle prime file. Per tutti gli altri candidati è un susseguirsi di emozioni e tensioni, di un gioco all’ultimo voto e all’ultimo quorum. Il seggio scatta o non scatta? E su questo interrogativo ci si trascina fino all’alba. E intanto fuori piove e piove, è malacqua.
 

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