Il coraggio di un sindaco che ai rifiuti sa dire sì

di Piero Sorrentino
Lunedì 20 Gennaio 2020, 08:00
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A giudicare dalla quantità di «no» pronunciati con forza e granitica certezza ogni giorno - No Vax, No Tav, No Tap, No Muos, No Ilva, No Triv qui da noi in Italia sembra di vivere, come nel romanzo di Dino Buzzati, in una gigantesca Fortezza Bastiani. Un luogo eterno e immodificabile dove, per timore dei Tartari in arrivo, restiamo paralizzati e immobili di fronte al ventaglio di scelte che una comunità è costantemente chiamata a fare. Una eternità e immodificabilità nelle quali il Paese si impantana da troppi anni. E allora lode a Nello Donnarumma, sindaco di Palma Campania, che ha trovato il coraggio di ribaltare una banale sillaba semplice all'apparenza, ma che in realtà pesa come un macigno, da «no» a «sì» proponendo di ospitare nel Comune da lui rappresentato due impianti per la gestione della raccolta differenziata: il primo per cartone, carta e plastica; il secondo per la frazione organica, destinata poi a essere trasformata in biogas per la produzione di energia elettrica.

Due siti, nell'idea del sindaco, che dovrebbero accogliere i rifiuti prodotti dai 58 Comuni del cosiddetto «Ato3», l'ente dell'ambito sarnese vesuviano. «Ovviamente vigileremo ha detto Donnarumma affinché l'impianto sia di ultima generazione, sia sicuro e non rappresenti una fonte di inquinamento né diventi uno scempio ambientale. Ho figli piccoli, non sono uno sprovveduto». Come a dire: non potrei mai mettere la firma su un piano che potrebbe essere rischioso per la salute non solo dei figli degli altri, ma pure dei miei. Troppe volte, negli ultimi mesi, abbiamo sentito quella frase irritante, «lo dico da padre», pronunciata esclusivamente a fini di consenso elettorale e propaganda politica, senza una reale e concreta azione.

Bello sentirla adesso, invece, quando al posto di un comodo «no» un sindaco decide finalmente di pronunciare un «sì» gravoso, che rischia di pesare in termini di consenso, di supporto della coalizione, di popolarità, di pubblico sostegno. Quando al «no» dei teorici della decrescita felice al potere viene opposto un «sì» che parte dalla fattibilità di un'opera, dal rapporto tra costi e benefici, dagli studi di impatto ambientale prodotti da studiosi e scienziati, non dai presunti professori dei social network pronti a lanciarsi in spericolati referti ingegneristici a mezzo Facebook. Quando i «no» tracciano pericolosi perimetri identitari, o ci immunizzano e ci fanno rintanare dentro comode sacche di autoprotezione che ci tengono separati dagli altri, da quelli che dicono sì, dai cattivi maestri che provano a tirare l'Italia fuori dal quel letale blocco conservatore il cui unico obiettivo è quello della sopravvivenza costi quel che costi. 

Ondate di protesta anti-tutto che vengono volentieri cavalcate o addirittura innescate non solo, come a volte succede, dalla criminalità organizzata, ma anche da una certa politica, che si accredita come collettore di tutte le proteste «Nimby» (Not in my backyard, ovvero, letteralmente: «Non nel mio cortile»), che diventa megafono in malafede di baggianate tecnologiche e di false credenze pseudo-scientifiche. Del resto, «no» è una parolina seducente, una nota suonata dai troppi pifferai contemporanei che avanzano orgogliosi alla testa di un corteo variegato e numerosissimo composto da passatisti che guardano con sospetto a qualsiasi cosa puzzi, secondo loro, di cambiamento e innovazione, o da esponenti di quel macigno immobilista che attraversa in maniera trasversale mille settori della nostra società, pronto a ricattare qualsiasi tentativo di modifica dello status quo con manifestazioni, blocchi, proteste, rivolte. Ma amministrare significa scegliere. Se fare politica significa sforzarsi di esprimere la sintesi di interessi contrapposti, di ricomporre fratture e di lenire i conflitti che inevitabilmente si producono nel vivere associato, governare una realtà urbana, piccola o grande che sia, comporta anche il peso di prendere decisioni difficili o impopolari, imboccando le vie meno facili o scontate. Ascoltando tutti, certo. Studiando, valutando, soppesando. Ma tenendosi lontani, sempre, dalla condizione di stallo perenne che T.S. Eliot aveva descritto così efficacemente nei versi dedicati a Prufrock, il personaggio al centro del suo straordinario poema del 1915, che ama contemplare le proprie indecisioni e attende solo l'ora del tè per potersene dimenticare: «Tempo per te e tempo per me / E tempo anche per cento indecisioni, / E per cento visioni e revisioni, / Prima di prendere un tè col pane abbrustolito».
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