Gaetano Manfredi sindaco di Napoli, la sfida dell'ingegnere mite e sobrio che sa comandare per sfinimento

Gaetano Manfredi sindaco di Napoli, la sfida dell'ingegnere mite e sobrio che sa comandare per sfinimento
di Antonio Menna
Martedì 5 Ottobre 2021, 07:00 - Ultimo agg. 21:14
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L'ultimo appello al voto, sui social, lo aveva fatto il 29 settembre, molto prima del silenzio elettorale. Diciotto secondi appena: un video con Napoli alle spalle, un po' di foschia, le mani congiunte e la solita espressione dinoccolata, del tipo che ci faccio qui. «Mi raccomando», aveva detto, «è una grande occasione». Mezzo sorriso e niente più. Non proprio un grido di battaglia. Tutt'altro che una chiamata alle armi. Poi un caffè a piazza dei Martiri, con la moglie Cettina, medico, nel giorno del voto loro che non sono elettori napoletani - con la gente che passava e si chiedeva chi fosse quel signore sotto i flash dei fotografi. Il giorno dello spoglio, a Nola, città di residenza, sul divano di casa, davanti alla tv. Come uno spettatore, come se non fosse il suo destino a incrociarsi con quello dei napoletani, per provare a scrivere davvero quella storia nuova che adesso tutti annunciano. Il professore dei silenzi è sindaco. Chissà se è contento o se sta ancora riflettendo, come quando doveva accettare o no la candidatura, e poi si è trovato in corsa senza aver mai sciolto davvero i nodi del tentennamento. I debiti, i servizi allo sfascio, tanti problemi, poche risorse. Varca il portone di Palazzo San Giacomo, il candidato controvoglia e, volente o nolente, adesso dovrà mostrare il suo tratto. 

Dovrà indossare l'elmetto, il sindaco mite. È ancora tutto da vedere, il passo che Gaetano Manfredi darà alla sua amministrazione.

Chissà che scrivania avrà, al piano nobile del Municipio. Chi lo conosce scommette che nulla sarà come prima. Niente altarino napulitano, con i San Gennaro, i pastori, le statuine, come abbiamo visto in questi anni. Si apre una fase nuova, almeno nei silenzi e nella sobrietà. Poche parole, misurate, mai un entusiasmo di troppo, qualche sorriso tirato, molta, molta, molta cautela. La migliore parola è quella che non si dice. Scordiamoci le dirette Facebook alla De Luca o i post rivoluzionari alla De Magistris. Attrezziamoci alla pazienza e alla lentezza. Non è detto che ci faccia male. Ma quanto somiglierà a Napoli, questo nuovo sindaco così austero e misurato? La bandana è di dieci anni fa, ma sembrano cento. Niente «abbiamo scassato», nemmeno un «ce l'abbiamo fatta». Zitti, per carità. Facciamo piano, non disturbiamo la città. 

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I numeri, però, il professore di Tecnica delle Costruzioni li sa leggere e c'è da credere che se li stia guardando con grande attenzione, in queste ore. Del resto si è sempre occupato di sisma e Grandi rischi, e conosce probabilmente l'insidia dietro ogni movimento. La stabilità è il vero obiettivo di un ingegnere delle costruzioni, e forse anche per questo non se ne fa nessuno fuori posto, nessuno fuori luogo. Lo sarà anche in politica? Le incognite di sicuro non gli sfuggono. Forse anche per questo non è mai stato un tempo di festa, sul suo volto emaciato. Non lo è stato alla candidatura con la coalizione di tredici liste, non lo è stato mai durante la campagna elettorale, quando tutti i sondaggi lo davano vincente. Non lo è stato neppure quando dalle urne sono uscite tutte le schede attese, e forse anche di più. Nessuna festa perché qui l'impegno è duro. L'affluenza al voto, mai così bassa, segno di una fiducia ai minimi storici. Dov'è la città, in questo lavoro che attende tutti? Napoli è altrove, lo sa bene il professore. E poi i voti di lista, le preferenze dei consiglieri: gli azionisti della sua vittoria. Sua? Questa la domanda che aleggia su quei capelli bianchi e disordinati, come perennemente nel vento dei pensieri. Chi ha vinto a Napoli? De Luca o Manfredi? Dovrà sbrigarsi a togliersi di dosso questa etichetta, l'ex rettore. E i partiti tradizionali? E le liste civiche personali? E i consiglieri stravotati? I numeri dicono la verità, per un ingegnere.

Non mancano le mine su questo terreno ma qui, forse, il passo felpato invece che il salto, può aiutare il sindaco professore. Chi lo ha conosciuto nelle precedenti vite, sorride sardonico: vedrete di che pasta è fatto. Come a dire: lasciatelo fare, vi sorprenderà. Sembra così, che lo tenete in tasca, ma ha tenacia e vista lunga, e sulla distanza sarà lui a consumare i suoi mentori. Ma non con i fuochi d'artificio, con gli attacchi frontali, con il braccio di ferro. Lo farà con l'arte dello sfinimento. Non è mai stato lui il politico di famiglia: la tradizione è del fratello Massimiliano, storico dirigente della sinistra giovanile, poi deputato Pd, oggi consigliere regionale. Ma il sangue non mente. Non è per caso che si diventa rettori della Federico II a 50 anni, e l'anno dopo Presidente della Conferenza nazionale dei rettori, e poi nel giro di un altri tre anni Ministro dell'università. Una carriera fulminante e silente, intessuta di buone maniere, relazioni giuste, senso della misura, più o meno come quella che lo ha portato, alla prima candidatura della sua vita, a essere sindaco della terza città d'Italia, al primo turno, con una percentuale emiliana. Insomma, non sottovalutate Manfredi. Il sindaco adesso c'è e, anche se non lo vedete, è lui che vede voi. 

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