Gaetano Manfredi sindaco di Napoli: «Investitori esteri e metropolitana europea, è la nuova Napoli»

Gaetano Manfredi sindaco di Napoli: «Investitori esteri e metropolitana europea, è la nuova Napoli»
di Gerardo Ausiello e Luigi Roano
Sabato 22 Ottobre 2022, 08:00 - Ultimo agg. 23 Ottobre, 09:04
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Allora sindaco Gaetano Manfredi, un anno fa lei convocava la sua prima giunta. Che anno è stato per lei e per la città?
«Dobbiamo ricordare da dove siamo partiti: il Comune era di fatto in dissesto, non aveva un bilancio approvato, non aveva dirigenti perché tutti erano decaduti con il sindaco uscente in quanto tutti a tempo determinato. Nella sostanza non esisteva più la macchina amministrativa, non c'era chi doveva firmare gli atti. Così è iniziata la mia grande avventura da sindaco».

Come ha trascorso quest'anno? Sa che in certi ambienti insistono sulla questione del cambio di passo che non ci sarebbe stato: cosa risponde?
«Il programma del primo anno lo abbiamo realizzato e chiuso proprio negli ultimi giorni con il primo nuovo treno della metro. Poi l'inaugurazione dell'università a Scampia e i due grandi concorsi, uno in Asìa e l'altro per dirigenti e dipendenti del Comune. Abbiamo avuto per la prima volta negli ultimi 15 anni il rating positivo dall'agenzia più affidabile del mondo: Fitch. Il percorso intrapreso per risanare il bilancio ha convinto. È chiaro che c'è molto da fare, ma il metodo che ho scelto è realizzare interventi strutturali. Se si vuole cambiare davvero la città, servono cambiamenti che restano nel tempo: una buona macchina amministrativa, un bilancio solido e il completamento di infrastrutture che aspettano da decenni che sono ferme spesso per dettagli, superficialità o motivi burocratici. Altrimenti passano gli anni senza che si faccia nulla».

Qual è la cosa di Napoli a distanza di un anno che non le è piaciuta?
«La città si è un po' abituata al fatalismo, è prevalsa quella idea di una città disordinata che è entrata nella mentalità di tanti cittadini ed è sbagliata. Quando il napoletano diventa fatalista e si adagia allora dà il peggio di sé. Invece ci vuole una nuova stagione di impegno e di responsabilità da parte di tutti perché il cambiamento è possibile. Le vere fasi di svolta ci sono state quando c'è stato il coinvolgimento delle persone».

Tuttavia, ciò è accaduto solo quando ci sono state le emergenze o no?
«Sì, è anche un tema di abitudini, è il nostro grande limite, siamo bravissimi a fare le cose eccezionali, meno a fare le cose normali. Il cambiamento invece è fare le cose normali, è questo il problema di Napoli e al tempo stesso la sua rivoluzione. Nel nostro comportamento un po' anarchico ci vuole un po' di una anarchia regolata».

La sua strategia di partire dalle infrastrutture - anche immateriali - è un metodo a lunga gittata che cela il cambiamento nell'immediato. Ed è un po' il sentire comune di pezzi di città.
«Ho fatto una scelta partendo dal presupposto che non sono un politico, mi sono prestato a fare il sindaco con grande soddisfazione per fare cose per la città. Non devo gestire un consenso immediato. So bene che quando si fanno interventi strutturali si paga in termini di consenso istantaneo però io credo che a Napoli servano proprio interventi strutturali».

Bassolino ha lasciato la montagna di sale e piazza del Plebiscito senz'auto, De Magistris il Lungomare pedonalizzato. Azioni simbolicamente molto potenti. Lei ha qualche idea al riguardo?
«Non lo hanno fatto subito, noi siamo realmente partiti il 30 giugno quando abbiamo approvato il primo bilancio, fino a quel giorno non potevamo spendere un euro. Loro hanno avuto 10 anni. Il nostro primo anno lo abbiamo portato avanti senza risorse realizzando il percorso che avevamo immaginato. Oggi sono orgoglioso che sia cambiata la narrazione di Napoli a livello nazionale e internazionale. La città non è più vista come un luogo senza speranza dove non si fa mai nulla, ora Napoli è attrattiva ed è una opportunità di investimento».

Che segnali concreti ha?
«C'è un interesse dei grandi fondi internazionali a investire sugli alberghi, le attività produttive e sugli eventi. Napoli è un mix di giovani di talento, una città ancora economica per quello che riguarda il costo della vita ed è una città oggettivamente bella. Tre elementi che attraggono e ci portano in una dimensione internazionale nella quale Napoli dev'essere dentro di diritto. La valutazione che ha fatto della città Tim Cook, il ceo di Apple, è di gran lunga superiore di quello che noi pensiamo della nostra città. E questo testimonia come noi dobbiamo avere più ambizione. Ci vogliono impegno, coraggio e concretezza».

Dai trasporti ai rifiuti, la sfida del miglioramento della vita quotidiana è partita ma non ha ancora dato risultati.
«La mobilità su ferro è fondamentale, abbiamo 10 nuovi treni già pronti: ne metteremo sui binari uno ogni due mesi per abbassare i tempi di attesa. Nel 2023, il primo trimestre, apriranno la stazione al Centro direzionale e quelle della linea 6. Arriveranno i nuovi autobus e poi c'è il tema del prolungamento della linea tranviaria. La nota dolente è la funicolare di Chiaia. Per l'aumento dei costi dell'energia e delle materie prime serve il doppio dei fondi: li abbiamo reperiti e stiamo bandendo una nuova gara per i lavori cercando di abbreviare i tempi separando le opere civili da quelle elettromeccaniche».

Capitolo rifiuti...
«Ci sono tre aspetti da considerare. Il primo è quello del personale e con il concorso lo stiamo risolvendo. Ricordo che finora mai nessuno è stato assunto in Asìa con un concorso. C'è una graduatoria aperta con all'interno 3mila idonei alla quale l'azienda potrà ancora attingere. Poi la riorganizzazione del servizio oggi troppo centrato sul prelevamento e poco sullo spazzamento. Ho chiesto un nuovo piano industriale. Quindi la questione degli impianti. Stiamo costruendo un percorso. Oggi l'umido, il vetro e la carta li portiamo fuori a costi esorbitanti.

Con gli impianti di compostaggio, che entro un paio di anni dovrebbero partire, da un lato potremmo incidere sulla Tari abbassandola, dall'altro investire sul decoro. Questo il quadro, a oggi il servizio è insufficiente ed è un dato di fatto sul quale stiamo lavorando».

Di solito dopo un anno un sindaco fa il tagliando alla giunta con un rimpasto di donne, uomini e deleghe: lei a che punto è?
«È presto per fare valutazioni del genere, siamo partiti in una condizione difficile, estrema. Poi c'è un momento per tutto, a oggi non è all'ordine del giorno perché il vero tema è ricalibrare l'azione della giunta. Quando avremo più stabilità finanziaria e più personale in campo e completato gli ultimi due pezzi del Patto per Napoli, cioè mettere a posto i mutui e le partecipate, avremo un quadro preciso per procedere ad una riorganizzazione della giunta».

Su questo tema ci sono pressioni politiche? La sua maggioranza è composita e dopo le Politiche gli equilibri sono cambiati.
«Abbiamo un progetto per fare delle cose per Napoli, al momento non ho segnali, c'è unità di intenti e un lavoro collettivo con il Consiglio comunale».

A Napoli i Cinquestelle hanno vinto mentre a livello nazionale ha vinto il centrodestra: come spiega il doppio risultato dei pentastellati? C'entra il reddito di cittadinanza?
«Il rapporto con il Governo è di assoluta correttezza istituzionale, io devo governare la città non fare battaglie politiche. Napoli è troppo importante per il Paese e per il Sud. Il successo di M5S me l'aspettavo, è la foto di un pezzo del Paese dove i temi sociali sono determinanti e non si tratta solo del reddito di cittadinanza. Ma della precarietà del lavoro, dei bisogni della gente, della povertà, della necessità di avere attenzione sui temi sociali. A Napoli la sensibilità su questo è più alta. Il risultato va al di là del reddito di cittadinanza e ci deve far riflettere sul tema del bisogno della protezione sociale della gente».

La rete dei sindaci che sta costruendo serve anche a questo o è un tema più politico?
«Serve per portare avanti delle istanze che nella politica nazionale sono poco al centro delle attenzioni come i servizi sociali, la qualità dell'abitare, i trasporti: per un sindaco sono una priorità e i sindaci possono costruire un'agenda di priorità e spingerla. Fare il sindaco significa fare politica. Ma una cosa è fare politica partitica, altra è quella per la gente».

Scampia e San Giovanni a Teduccio, due periferie, due università cioè cultura: è questa la strada per uscire dalla dimensione di periferia?
«A livello internazionale le università rappresentano le economie delle conoscenze e sono lo strumento di trasformazione economico e sociale più potente. Portare l'università significa formazione, attrarre aziende, portare bellezza dove c'è degrado urbano e dove si è smarrita l'identità. E poi il tema culturale porta un percorso di emancipazione e questi territori ne hanno bisogno altrimenti restano dei ghetti. I ragazzi devono capire che esiste una alternativa».

In città mancano strutture a livello sportivo e anche musicale: Napoli non ha un palazzo dello sport con un numero di spettatori tale da poter ospitare anche eventi internazionali.
«Stiamo lavorando sull'area del Mario Argento. Abbiamo bisogno di un palazzetto dello sport degno di una grande città. Lì si può creare un palazzetto da utilizzare per gli eventi sportivi e per i concerti al chiuso. Un altro investimento del genere lo stiamo facendo nell'ex mercato ittico».

Poi c'è lo stadio Maradona.
«Che abbiamo sbloccato, l'arrivo dei Coldplay non è un caso. Napoli è strategicamente collocata in un'area che raccoglie tutto il Sud, anche quello del Mediterraneo. Tendenzialmente vogliamo una stagione di grandi eventi che sia di richiamo».

Il 28 ottobre a Napoli è in programma la manifestazione per la pace organizzata dal governatore Vincenzo De Luca. Ci andrà? In che rapporti è con il presidente della Regione?
«Alla marcia parteciperanno tanti sindaci e ci sarò anch'io. Il campo in cui siamo deve essere senza ambiguità: per quello che mi riguarda siamo con l'Ucraina. Poi c'è una spinta popolare verso un processo negoziale ed è buono. C'è la stagione delle armi e quella del negoziato. Noi come posizionamento, ed è un elemento dirimente, diciamo che ci sono due contendenti non equivalenti e noi siamo con l'Ucraina. Il rapporto con il governatore De Luca è corretto e istituzionale».

Il 3 novembre in commissione Urbanistica arriverà la variante orientale al Piano regolatore generale e soprattutto la questione Porta Est con dentro il nuovo quartier generale della Regione, 60mila metri quadri su 127mila complessivi. E il rilancio del Centro direzionale. Sei giorni dopo toccherà a lei fare sintesi. Come stanno le cose?
«Sciogliamo i nodi. Il ragionamento di Porta est non può prescindere dal rilancio del Centro direzionale, anche per i volumi dell'area. Le Fs, titolari dei suoli, come hanno fatto in tutte le città hanno interesse a cedere volumetrie per fare delle cose e quindi in cambio chiedono la possibilità di costruire di più indipendentemente che ci vada la Regione o meno».

Qual è la soluzione allora?
«Gli interventi infrastrutturali ci servono, si tratta dell'accesso a piazza Garibaldi, penso alla bretella dall'autostrada e al parcheggio dei bus perché non è possibile che in quell'area i veicoli passino davanti, devono invece circolare alle spalle. Ma Porta Est è il Centro direzionale e le due cose vanno insieme, perché è l'insediamento più importante dell'area est anche dal punto di vista dimensionale e delle infrastrutture. Il Centro direzionale deve diventare un'area multifunzionale. E su questo c'è un consenso trasversale. Il concetto del business district è degli anni '80 è vecchio, le cose cambiano, deve diventare un mix di uffici, alberghi, strutture di servizi e divertimento, della ricerca dell'innovazione, delle università. Al Centro direzionale ci sono ingredienti per fare qualcosa che valorizzi spazi e immobili. Abbiamo un deficit alberghiero e residenziale, perché questo deficit non lo si può recuperare al Centro direzionale?».

In che modo se a oggi nel progetto Porta est è tutto tarato sulle aree delle Fs, incluso il nuovo palazzo della Regione?
«C'è un aspetto importante: il collegamento del Centro direzionale alla Stazione di piazza Garibaldi. Al Centro ci saranno due stazioni della linea 1 e quella della Circumvesuviana. Noi vogliamo creare un corridoio, una passeggiata di una decina di minuti che lo colleghi alla Stazione e c'è una interlocuzione con le Fs che sembrano interessate. Ogni stazione ha di fianco una grande area di intrattenimento alberghiera e di servizi come il coworking perché per chi arriva con il treno dell'alta velocità è comodo. E alla Stazione per come sarà lo sviluppo di Porta est non c'è spazio per fare questo. Allora la vera area di sviluppo della Stazione è il Centro direzionale dove ci sono anche aree del Comune, è un tema che ho già posto a Fs. Se tutto questo lo mettiamo nel progetto significa fare anche un investimento sul Centro direzionale».

Da est a ovest cioè a Bagnoli. L'impressione del cittadino è che sia immobile e lei è il commissario di Bagnoli: qual è il futuro dell'area ex Italsider?
«Sono diventato commissario a marzo. La cosa da fare è risolvere il contenzioso, quello con il pubblico è in via di definizione, ora quello con i privati. Che va fatto con la soddisfazione di tutti. Chiarito questo punto non siamo fermi, perché per le bonifiche a terra sono state fatte le gare, quella dall'amianto è conclusa. C'è il tema delle bonifiche a mare che si sta affrontando in maniera scientifica e non ideologica. Oggi noi dobbiamo sapere come si può bonificare e quanto costa. Però noi vogliamo iniziare a utilizzare Bagnoli».

In che modo?
«Lo sviluppo è in capo a Invitalia che stiamo sollecitando, oggi le condizioni ci sono, nel frattempo abbiamo approvato una delibera per gli usi temporanei. Con la quale siamo riusciti a sbloccare la ricostruzione di Città della Scienza. L'idea è quella di ripristinare subito la Porta del Parco dove c'è un auditorium. E iniziare a utilizzare il Pontile Nord e la pinetina magari per farvi degli spettacoli. Questo mostrerebbe che Bagnoli non è un luogo immobile».

Piazza del Plebiscito, altro luogo simbolo, è al buio, possibile che non si riesca a illuminare?
«È complicato ma stiamo lavorando a un progetto complessivo. Lì non si possono mettere corpi luminosi a terra perché è un luogo utilizzato per eventi. Ci sono molti vincoli, ma il nostro progetto punta a illuminare la piazza utilizzando i palazzi come elementi di illuminazione ma abbiamo rallentato un po' per la crisi energetica. Posso dire però che l'Ipogeo, che è di nostra competenza, aprirà nei primi mesi dell'anno prossimo».

Rispetto alla sua carriera fare il sindaco quanto la sta affascinando?
«Il metodo è lo stesso che utilizzavo all'università, a me piace entrare nei problemi, non riesco a decidere se non capisco le cose. Soprattutto quando si ha a che fare con una città così complicata. Quest'anno è stato infatti anche un anno di conoscenza».

Lei utilizza molti docenti tanto che sono chiamati in causa da alcuni come una casta.
«Il tema è che per fare le cose servono competenze, confondiamo le parole con i fatti, tanti sono bravi a parlare ma non hanno mai fatto nulla. Grandi parlatori ma se gli vai a dire cosa hai fatto non rispondono. Noi dobbiamo passare dal racconto alla realizzazione e per fare questo abbiamo bisogno di competenze, che non vengono solo dalle università. In città di competenze ce ne sono tante ma devono essere in campo, non devono solo parlare ma rimboccarsi le maniche». 

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