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Gaetano Manfredi sindaco di Napoli, Maurizio de Giovanni: «La partita comincia ora, raccogliamo la sfida»

di Generoso Picone
Articolo riservato agli abbonati
Martedì 5 Ottobre 2021, 12:00 - Ultimo agg. : 16:31
5 Minuti di Lettura

«La partita comincia adesso», dice Maurizio de Giovanni dopo aver verificato i risultati del voto amministrativo per il Comune di Napoli. Il narratore dei Bastardi di Pizzofalcone, del commissario Ricciardi e di Mina Settembre, straordinari successi editoriali con eccezionali ascolti nelle rispettive riduzioni televisive, commenta l'affermazione di Gaetano Manfredi definendola «al di là di ogni aspettativa, un importante e impegnativo mandato di fiducia consegnato dall'elettorato in un momento in cui per altro la fiducia è merce rara». «Ma ora dovrà essere la città nel suo complesso a raccogliere la sfida», aggiunge.

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De Giovanni, lei parla di fiducia: però se questa si misura con la percentuale dei votanti, a Napoli si registra un indubbio e grave deficit di partecipazione. Il partito degli astenuti resta primo e incrementa di oltre 6 punti percentuali il suo peso.
«È il segnale di una grave disaffezione rispetto alla politica nel suo complesso. Questa parola ha ormai perso la sua nobiltà, avvilita da anni di cattiva amministrazione e clientelismo, scelte sbagliate e bilanci dissestati. Chi vuole che sia animato dall'entusiasmo e dalla tensione a concorrere alla definizione delle strategie di governo di una comunità? È ancora più grave quando si tratta di dare un'amministrazione alla propria città e occorrerà riflettere con estrema attenzione su questa tendenza. Certo, una quota così pesante di astensionismo smorza da subito ogni suggestione al lamentismo: chi non vota oggi non può aver diritto a recriminare domani. Le responsabilità, pur in quota parte, vanno divise tra elettori ed eletti».

Agli eletti, con Gaetano Manfredi in testa, toccherà l'enorme responsabilità di guidare una città sbandata.
«Vero, ma bisogna essere intellettualmente onesti. La Napoli di questi tempi è il prodotto non di 10 anni di amministrazione di Luigi de Magistris quanto di una lunga fase di inadempienze il cui avvio risale a ben prima. L'immondizia in strada fino al primo piano dei palazzi non è un'immagine che si può dimenticare e d'altra parte non si possono nemmeno nascondere i dati positivi di un turismo che nonostante tutto sono raddoppiati».

Onore delle armi a de Magistris?
«Il quale ha comunque commesso i suoi errori, inseguendo la sua variegata maggioranza attraverso un'infinita giostra di assessori che l'ha portato a sacrificare anche personalità di grande qualità, come Nino Daniele. Insomma, il suo non è stato un periodo da Medioevo dopo il Rinascimento».

Napoli in ogni caso pare aver smarrito il senso del suo ruolo e la prospettiva verso cui proiettarsi.
«La città del 2021 manca di una visione, è vero. Con il mandato assegnato a Manfredi sarà possibile acquisirla soprattutto connettendosi con le linee dettate da Regione, governo nazionale ed Europa. Guardi, la lezione più importante che la pandemia da Covid 19 ha impartito è che nessuno, ovunque, può farcela da solo. Appare assolutamente indispensabile coordinare gli interventi e l'occasione del Recovery Plan non può essere perduta. Abbiamo alle spalle l'esperienza dell'utilizzo spesso drammaticamente scriteriato dei fondi per la ricostruzione dal terremoto del 23 novembre 1980 e non è lecito sprecare l'occasione che ci viene data: sono finanziamenti che ci potranno essere assegnati sulla base di progetti chiari e precisi, non costituiscono un'elargizione ma andranno ad aumentare un debito e quindi abbiamo il dovere di spenderli con lucidità e raziocinio. In maniera produttiva».

L'ampio consenso che ha ottenuto Gaetano Manfredi nasce da questa consapevolezza?
«Ritengo di sì. Non che gli altri tre candidati non avessero capacità. Anzi: da Catello Maresca ad Antonio Bassolino e ad Alessandra Clemente tutti profili di valore. Però Manfredi, un manager che ha guidato una struttura complessa come l'Università Federico II, ha evidentemente convinto di più. Adesso è chiamato alla verifica dell'attività amministrativa, sperando che sappia muoversi nella polifonia di voci della sua coalizione e trovi presto l'equilibrio giusto. Non c'è tempo da perdere».

Iniziando da che cosa?
«Napoli deve mostrare di saper dialogare con l'Europa, senza isolarsi e conservando le sue peculiarità identitarie. Deve ritrovare il suo orgoglio e alzare l'asticella. Ma immediatamente occorrerà mettere mano a una seria politica in grado di abbattere quel mortificante 38 per cento di dispersione scolastica. Non ci si può permettere di dissipare il patrimonio delle nuove generazioni che senza istruzione e lavoro rischiano di consegnarsi alle tentazioni della malavita organizzata. Se si ha intenzione di puntare sull'immagine di città della creatività e dell'arte diventa impellente liberarsi da questa sconcertante contraddizione. In queste settimane in tanti hanno discusso dell'ipotesi di una Factory nell'Albergo dei poveri: sarebbe un simbolo fondamentale della Napoli che ha già assunto una funzione primaria nella produzione di romanzi, film, fiction, arte a un livello decisamente internazionale e che a questo punto la definisce in un progetto strutturato».

Dove però scarseggiano le case editrici e di produzione e quelle che ci sono non paiono di dimensioni tali da imporsi sulla scena nazionale.
«È così. Coloro che operano nel campo culturale svolgono un'opera meritoria ma da soli non possono farcela. C'è bisogno del concorso e dell'impegno delle migliori energie che sappiano rivelarsi motore del cambiamento. Torniamo a quel vuoto che nella storia della città esiste fin dal 1799, quando la borghesia venne sconfitta e il portone di Palazzo Serra di Cassano fu irrimediabilmente chiuso. Oggi Manfredi ha il compito di ricostruire un'alleanza tra le forze sane della produzione, imprenditoriale e intellettuale e di percorrere insieme un itinerario di ambizione. Mi auguro e gli auguro che ci riesca. Questo è il significato che in tanti hanno voluto dare alla sua elezione. Tra cinque anni Napoli sarà una città diversa: migliore o peggiore. Si è aperta una partita, se la giochiamo male non ci sarà più salvezza».

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