Cirillo, l'ex Dc ostaggio delle Brigate Rosse: nella tomba gli ultimi misteri

Cirillo, l'ex Dc ostaggio delle Brigate Rosse: nella tomba gli ultimi misteri
di Gigi Di Fiore
Lunedì 31 Luglio 2017, 09:00
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Non usciva più di casa ed era accompagnato ad ogni passo dai suoi camerieri filippini. Due anni fa, Ciro Cirillo aprì le porte della sua villetta di Torre del Greco e, con voce stentata e stanca, si scusò: «Non ce la faccio a camminare da solo, devono sorreggermi». Il protagonista di una delle pagine più controverse della storia dell'Italia repubblicana ora non c'è più. Morto a 96 anni in quella stessa casa torrese, dove sono accorsi i tre figli e i nipoti. Un potente della Dc campana tra gli anni '70 e '80 del secolo scorso. Il riferimento della corrente dorotea di Antonio Gava e Flaminio Piccoli. Un gestore di consensi da 80mila preferenze personali passato dalla presidenza della Provincia di Napoli a quella della Regione. Di lui, Gava si fidava. Lui gestiva tessere e voti. In quell'aprile del 1981 si accingeva a gestire l'occasione degli interventi del dopo-terremoto, da assessore regionale ai Lavori pubblici. Ma la campagna meridionale della colonna napoletana delle Br guidata da Giovanni Senzani, passata poi per gli omicidi degli assessori regionali Pino Amato e Raffaele Delcogliano, puntò anche sul rapimento di Cirillo.

Fu un rapimento sanguinoso, con la morte degli autisti Luigi Carbone e Mario Cancello. Da quel 27 aprile del 1981 seguirono 89 giorni. Poco più di due mesi in cui successe di tutto. Cirillo fu tenuto prigioniero, interrogato dal brigatista Antonio Chiocchi con video registrato ora in possesso della famiglia. Fuori, a differenza di quanto era avvenuto quattro anni prima per Aldo Moro, la corrente dorotea della Dc fece di tutto per salvarlo. Così lo ricordò Bernardo Cirillo, il figlio dell'ex assessore Dc, nel giorno dell'ultima intervista concessa dal padre al Mattino due anni fa: «I servizi segreti ci informarono dei contatti con Cutolo, ma senza dettagli. L'impressione fu che, mentre il Sismi tentava di avere informazioni sul covo per un blitz, il Sisde cercava un canale per arrivare ai brigatisti e alla liberazione trattata».

Quel canale si chiamava Raffaele Cutolo, «il vangelo» nel gergo della Nuova camorra organizzata, l'organizzazione criminale da lui fondata in carcere. Cutolo era detenuto ad Ascoli e lì dentro entrarono politici, come l'allora sindaco Dc di Giugliano, Giuliano Granata, ed esponenti dei servizi. Ci furono più incontri: Cutolo avrebbe dovuto intercedere con i terroristi in carcere per convincere i loro compagni a liberare l'assessore. Una trattativa, come non ci fu mai per Moro. Soldi e benevolenze in cambio della vita dell'uomo fondamentale in Campania per la corrente dorotea. 

Ciro Cirillo ha sempre parlato, con i suoi figli, di canali paralleli per arrivare alla sua liberazione. C'erano i servizi segreti, c'erano le indagini e poi la famiglia. Ricordò ancora Bernardo Cirillo: «Noi puntavamo solo ad assecondare le richieste principali delle Br, come la pubblicazione sui giornali dei verbali del processo a mio padre e il pagamento del riscatto. I verbali furono pubblicati da Lotta continua, Liberation a Parigi e il settimanale Napoli oggi».

Il riscatto, un miliardo e 450 milioni di lire fu, come ha sempre raccontato la famiglia Cirillo, il frutto di una colletta disinteressata di imprenditori. Ma erano tempi di lavori del dopo-terremoto e molti sospetti, anche nelle nuove indagini del 1993 seguite all'istruttoria gestita con coraggio dal giudice Carlo Alemi, sono aleggiati sul «disinteresse» della colletta. E disse sempre Bernardo Cirillo: «Partecipammo alla colletta, vendendo una casa a Capri».

Il potente capo della Nco mediatore, su richiesta dei servizi segreti e di alcuni politici, con le Br. Le polemiche furono violente e il presidente del Consiglio dell'epoca, Ciriaco De Mita, che sosteneva Gava e i dorotei essenziali all'appoggio del suo governo, prese una dura posizione contro il giudice Alemi in Parlamento. Di quei giorni, Cirillo ha sempre ricordato la paura della prigionia: «Fui incatenato in un piccolo ambiente, martellato a ciclo continuo da un altoparlante che diffondeva le note dell'Internazionale socialista. Mi interrogò Chiocchi, ma la sentenza fu di Senzani. Scrivevo lettere di cui mi indicavano il tema».

Tanti sapevano, pochi riferirono sulla trattativa. E molti testimoni sono morti, in circostanze non sempre chiare. Cirillo aveva un memoriale segreto? Lo smentì due anni fa: «Bluffai nel 2001, mi assediavano i giornalisti e per togliermeli di torno inventai la storia di un mio memoriale segreto con chissà quali verità dicendo di averlo dato a un notaio che lo teneva in cassaforte».

Poi un ricordo dei momenti della liberazione: «Il questore aveva per iscritto dato indicazioni al vice questore Biagio Ciliberti, figlio di un mio amico consigliere provinciale, che mi portasse dove volevo. A casa, mi vennero a trovare Gava e Piccoli, ma anche il prefetto, il procuratore generale e il sindaco di Napoli, Maurizio Valenzi. Se fossero venuti gli inquirenti li avrei accolti». Nessuno riuscì però a interrogare Cirillo a caldo. A distanza di anni, l'anziano ex assessore conservava una sola amarezza: dopo la liberazione, tutto era cambiato. Averla scampata significava la sua morte politica. Così lo raccontò Cirillo: «La Dc mi mollò, mi portarono un foglio prestampato da ricopiare con la mia grafia con le mie dimissioni dal Consiglio regionale. Piansi. Era il mio addio alla politica, preteso soprattutto dalla sinistra demitiana. Tornai al lavoro alla Camera di commercio».

Salvato, ma era diventato un imbarazzo per la Dc. Ancora un ricordo di due anni fa: «Gava mi disse che, se non mi fossi dimesso, il governo nazionale rischiava la crisi». Ciro Cirillo, come tanti che lo hanno preceduto, porta nella tomba il suo segreto su quello che può aver appreso della trattativa. Due anni fa, a 94 anni, aveva una sola convinzione: «La chiave dell'iniziativa giudiziaria sulla trattativa era solo colpire Gava». Un'idea, condita da reticenze, che lo ha accompagnato fino alla fine.
 

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