Napoli, allarme criminalità. Lorito: «Battaglia ha ragione, serve un patto per la città»

Il rettore della Federico II ha molto apprezzato le parole dell'Arcivescovo Battaglia

Napoli, allarme criminalità. Lorito: «Battaglia ha ragione, serve un patto per la città»
di Valentino Di Giacomo
Mercoledì 5 Maggio 2021, 09:03 - Ultimo agg. 18:00
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«Sulla vicenda degli altarini eretti dalla malavita Monsignor Battaglia ha fatto una chiamata ad un'azione sociale importantissima e sono certo che la comunità religiosa abbia i modi e gli strumenti per attivarsi. Non bisogna però pensare che l'appello dell'Arcivescovo di Napoli debba essere recepito solo dal mondo ecclesiale, anche altre istituzioni della città, come la nostra, hanno il dovere di lavorare insieme a tutte le altre per migliorare il nostro tessuto sociale». Matteo Lorito, rettore della Federico II, ha molto apprezzato le parole dell'Arcivescovo Domenico Battaglia affidate ieri in un'intervista al nostro giornale. L'Università - secondo Lorito - è esattamente al centro di quel percorso necessario ad accorciare le differenze sociali e culturali che ci sono in città.


Da settimane si è dato finalmente il via ad un'operazione, certamente non solo simbolica voluta dal prefetto, per rimuovere tutti i murales e gli altarini eretti dalla malavita. Crede sia utile?
«Da rettore della più antica università laica il concetto di altarino è estraneo al comune sentire del nostro ateneo, senza nulla togliere alla religiosità spontanea di chi vive determinati sentimenti. La vicenda degli altarini della camorra è una patologia che riguarda una parte del nostro tessuto sociale e di cui, purtroppo, per troppo tempo ci siamo dimenticati. Il problema a mio avviso è però un altro».


Quale?
«Rimuovendo gli altarini interveniamo sui sintomi, ma non eliminiamo la malattia. Quello che dobbiamo fare, contemporaneamente, è smantellare le condizioni per cui vengono fuori queste opere. Se qualcuno le mette in piedi significa che non comprende la differenza tra pubblico e privato, tra bene e male».


Come intervenire allora?
«Posso portare sicuramente l'esempio della nostra università, che essendo un campus diffuso presente in più punti dell'area metropolitana, riesce a creare non solo dei presidi culturali ma anche di legalità.

Penso all'esperienza della nostra sede in un quartiere ritenuto difficile come San Giovanni a Teduccio, una struttura aperta dove tutti possono accedere, eppure a nessuno del quartiere è mai venuto in mente di spaccare oggetti o sporcare i muri. Lì dove magari c'era un bar frequentato da personaggi poco raccomandabili, ora c'è il bar dell'università dove gli studenti si interfacciano con il territorio e si crea uno scambio. Il punto è questo: trovare il modo per creare uno scambio tra l'università e il territorio circostante».


L'università come antidoto alla frammentazione sociale?
«Esattamente ciò che dice l'Arcivescovo Battaglia, è proprio la frammentazione sociale che porta a produrre l'idolatria del singolo. Senza dialogo e senza interconnessioni anche un giovane che delinque può diventare un mito. Per questo anche il nostro ateneo, anche interfacciandosi con il grande mondo dell'associazionismo di cui Napoli è ricchissima, è perfettamente calato nella realtà sociale di questa città. Spero entro la fine dell'anno uguali percorsi di sinergia tra l'università e il territorio possano sorgere a Scampia dove tra qualche mese sorgerà un nuovo polo universitario».


Non rischia di diventare una cattedrale nel deserto?
«Non avviene nel centro storico, non avviene a San Giovanni e non sarà certamente una torre d'avorio quella a Scampia. Solo facendo in modo che i ragazzi di questi quartieri possano avviare scambi con i ragazzi che frequentano l'università è possibile avviare questo lungo percorso di interconnessione che in parte dà già i suoi frutti intorno alle nostre sedi universitarie».


Parla di torre d'avorio, non è quello che spesso accade al mondo intellettuale napoletano? Penso al caso di Ugo Russo con una parte degli intellettuali pronti a difendere il murale ai Quartieri Spagnoli, ma senza agire. Il mondo del sapere, anche quello accademico, sa sporcarsi anche le mani in questa città?
«Non bisogna pensare che il problema degli intellettuali che parlano solo agli intellettuali sia un caso solo napoletano, avendo lavorato all'estero per anni questo è un fenomeno diffuso. Intanto - va detto - un turista che oggi si avvicina a Napoli coglie immediatamente, come diceva Domenico Rea, che esistono due Napoli parallele. C'è una Napoli che si muove con regole e percorsi tutti propri come quello degli altarini e una Napoli eccellentemente acculturata. Il problema spesso è anche il linguaggio, bisogna trovare un modo per dialogare e per far questo ci vorrà del tempo e anche tanto impegno politico».


Come possono parlarsi le due Napoli?
«Uno dei modi è certamente quello della Federico II che è l'università con la più ampia fascia di studenti in no tax-area d'Italia. Oggi il 60% dei nostri allievi ha diritto a studiare pagando pochissimo o nulla, questo fa sì che si metta in moto quell'ascensore sociale necessario per abbattere ogni barriera».
Del murale di Ugo Russo lei invece che idea si è fatto?
«Non conosco la vicenda nel dettaglio, ma parliamo di un dramma personale che va rispettato. Poi noi siamo liberali e laici fino in fondo: ognuno ha il diritto di esprimere la propria posizione come in tanti hanno fatto, ciò che è importante è che nell'esprimere un proprio dolore ciò non diventi un messaggio fuorviante per i giovani. A quel punto avremmo una doppia disgrazia: quello della famiglia e di quei ragazzini che provano a immaginare un percorso di vita alternativo ma gli vengono presentati dei cattivi esempi. Oggi ci sono opportunità per i giovani, ma devono volersi mettere in gioco, a volte la difficoltà è farle conoscere queste opportunità».


Il problema è che per un ragazzo che sceglie di studiare, tanti altri ne restano fuori. Come andiamo a prenderli quei giovani che invece finiscono col perdersi?
«Intanto anche qui ci stiamo muovendo: penso all'attivazione dei corsi che abbiamo adesso al carcere di Secondigliano dove i detenuti che vogliono farlo possono studiare a ottenere anche dei titoli che potranno essere utili dopo aver scontato la loro pena. Per i più giovani serve un impegno sinergico, noi lo facciamo anche interfacciandoci con tante associazioni e, adesso, abbiamo scoperto che alcune attività è possibile farle anche grazie alle nuove tecnologie della formazione. Le università però hanno già fatto tanto mostrando a questi ragazzi dei modelli diversi nei loro quartieri, questo è un patrimonio proprio della Federico II, magari non possibile nei campus dove tutto è accentrato e che sono distanti anche fisicamente dal tessuto sociale».

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