Napoli, perché non si può dire che l'Anm è salva

di Vittorio Del Tufo
Sabato 21 Ottobre 2017, 09:11 - Ultimo agg. 09:12
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L'accordo raggiunto a tarda notte tra Comune, Anm e sindacati per salvare dal fallimento l'azienda di trasporto pubblico è solo il primo passo di una road map ancora tutta da costruire. Nelle condizioni date, pretendere di più era impossibile. Trovare un punto di equilibrio tra tutte le parti, da tempo in conflitto tra loro, non era semplice; stabilire, senza perdere ulteriore tempo in chiacchiere, le due o tre cose da fare subito per evitare la bancarotta era un imperativo categorico al quale né l'azienda né i sindacati potevano, al punto in cui siamo arrivati, sottrarsi. Ma l'intesa siglata alle 3,40 della scorsa notte va celebrata per quello che è: un punto di partenza, non di arrivo. Perché il disastro del trasporto pubblico in città è sotto gli occhi di tutti e l'azienda è tutt'altro che salva. 

Nell'immediato, e anche nello spirito di recuperare parte di quel consenso presso l'opinione pubblica che è andato progressivamente franando, si è deciso di mandare un segnale in direzione del recupero di un minimo di normalità del servizio. Le due Funicolari più importanti (Centrale e Chiaia) e la linea 1 del metrò torneranno a chiudere alle 2 del sabato e dei prefestivi, mentre nei giorni infrasettimanali le due Funicolari chiuderanno alle 0,30 quattro volte a settimana. È soprattutto sullo scandalo degli inidonei, dopo gli occhi chiusi e i colpevoli silenzi del passato, che il Comune appare finalmente deciso a calare la scure. I lavativi saranno costretti a lavorare (vedremo) e i dipendenti in esubero verranno accompagnati al prepensionamento, mentre per contrastare l'evasione si è previsto che dal primo novembre partirà la vendita dei biglietti che sarà direttamente effettuata dal personale di stazione e di guida dei bus. 

Basterà tutto questo a salvare l'Anm dal fallimento? La vera azione di risanamento è affidata a un piano industriale quinquennale ancora tutto da scrivere. Più volte, in passato, i progetti di risanamento sono rimasti lettera morta. Ne sa qualcosa l'ex manager Ramaglia, il cui (abortito) piano industriale prevedeva che gli stanziamenti per la boccheggiante Anm venissero erogati con continuità. E invece, altro che continuità, i fondi sono stati falcidiati. I tagli ai trasferimenti previsti dalla spending review restano la vera spada di Damocle per un'azienda che da tempo è alla canna del gas e resta tutta da verificare l'efficacia del piano di conferimento dei beni per aumentare il capitale sociale e dunque scongiurare la messa in liquidazione della società. La stessa scelta politica di mantenere totalmente in mano pubblica l'azienda è una dichiarazione d'intenti che va ora misurata con i fatti. Se non serve a riqualificare il trasporto pubblico, migliorando e implementando l'offerta in una città in cui il diritto alla mobilità viene sistematicamente negato, la scelta di escludere i privati dalla gestione dell'Anm rischia di avere il fiato corto delle dichiarazioni di principio. 

Dobbiamo augurarci che i sindacati e i lavoratori facciano la loro parte, rimuovendo le sacche di improduttività e gli sprechi che hanno portato l'Anm sull'orlo del baratro. Ma il rispetto degli impegni previsti dall'accordo sindacale deve essere accompagnato da un piano di risanamento che non può essere rinviato sine die, in eterno, in attesa che Palazzo Chigi o Santa Lucia provvedano a togliere le castagne dal fuoco a tutti. E questo piano di risanamento dev'essere in grado di camminare su gambe forti, a cominciare da un management adeguato che non faccia sconti a nessuno. Soprattutto occorre, d'ora in avanti, una gestione improntata finalmente a criteri di merito e di efficienza.

Esattamente quello che non è accaduto in passato, tra sacche di parassitismo colpevolmente tollerate, sprechi (vedi lo scandalo delle polizze record) e rendite di posizione. È da questi disastri che bisogna partire, per imprimere all’azione di rilancio una torsione virtuosa che fino a oggi è mancata. 

Può l’Anm salvarsi e, nello stesso tempo, ricominciare a offrire ai cittadini un servizio minimamente decente? Purtroppo la salvezza dell’Anm non dipende solo dall’Anm. Per certi versi siamo al cane che si morde la coda. Lo sfascio del trasporto pubblico è figlio della mancanza di un piano di rilancio, ma nessun piano di rilancio è possibile date le drammatiche condizioni economiche e finanziarie in cui versa il Comune. Le uniche risorse vive per l’azienda sono i 58 milioni di euro garantiti ogni anno dalla Regione. L’emorragia delle finanze pubbliche comunali trae a sua volta origine dalla mancata riorganizzazione delle società partecipate, dal flop delle riscossioni, dagli sprechi e dalla mancata valorizzazioni del patrimonio immobiliare. Come in un grottesco gioco dell’oca, rischiamo di tornare ogni volta al punto di partenza. Per tutti questi motivi è necessario lasciar perdere i facili entusiasmi e considerare la bozza di intesa raggiunta la scorsa notte con i sindacati come l’inizio di un percorso. La partita vera è ancora da giocare, il futuro tutto da scrivere. E la strada resta in salita: auguriamoci che i soggetti impegnati nel rilancio siano all’altezza della sfida.
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