Conti in rosso al Comune di Napoli, ​il dossier: «Voragine riscossione»

Conti in rosso al Comune di Napoli, il dossier: «Voragine riscossione»
di Luigi Roano
Giovedì 11 Novembre 2021, 00:00 - Ultimo agg. 11:21
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Solo il 27% dei napoletani paga le tasse locali, gli ultimi nella classifica tra le grandi città. È il metro per capire come il debito è strutturale e senza un intervento che incida sul miglioramento della riscossione è destinato a crescere e non a diminuire. I dati sono frutto dello studio della «Consulta Audit sul debito e le risorse del Comune di Napoli», presieduta dal costituzionalista Paolo Maddalena. La Consulta è stata sciolta assieme alla fine del mandato dell’ex Pm, ma i dati restano. E sono gli stessi che il nuovo sindaco Gaetano Manfredi e la sua squadra hanno portato al Mef per trovare una soluzione al “caso Napoli”. Lo studio analizza il decennio 2010-2019, anno in cui poi è arrivato il Covid e tutto è rimasto cristallizzato a quell’anno. 

La mancata riscossione di entrate previste e accertate nel bilancio durante l’anno determina la formazione dei cosiddetti “Residui attivi”. Si tratta di crediti che l’Ente vanta nei confronti di cittadini, Enti Pubblici, società partecipate e imprese ma che non riesce a incassare, sono virtuali. L’ammontare totale dei residui attivi a fine 2019 è di 3 miliardi e 978 milioni. Un muro contro cui cozzano tutte le speranze di rilancio di Napoli. Quando Manfredi chiede non solo iniezioni di liquidità e sostegno per fare fronte al debito, ma anche norme con vincoli più flessibili, a cosa si riferisce? «All’introduzione di una più stringente normativa nazionale in materia contabile degli Enti Locali, intervenuta nel 2015, che ha comportato l’incremento esponenziale del cosiddetto “Fondo Crediti Dubbia Esigibilità” (Fcde), il cui valore a fine 2019 è di 2 miliardi e 125 milioni».

Nella sostanza, si ritiene che sull’ammontare dei quasi 4 miliardi di residui non siano riscuotibili il 53,42% esattamente l’ammontare dell’Fcde. Questa cifra non riscuotibile viene sottratta alla capacità di spesa dell’Ente: più è alto il Fcde meno il Comune può spendere e più debiti deve contrarre per sostenere i servizi. «Questo è il motivo centrale per cui il debito e il disavanzo - la differenza tra entrate e uscite - del Comune sono aumentati dal 2015», chiosano quelli della Consulta. L’inasprimento del Fcde colpisce in particolare gli enti in predissesto come Palazzo San Giacomo. Prima della nascita del Fondo - va detto - le entrate di bilancio dei Comuni potevano essere sovrastimate per ampliare la capacità di spesa dell’Ente. Insomma, i bilanci erano gonfiati con somme fasulle e virtuali. Manfredi quando chiede norme meno stringenti allude anche a questa fattispecie. Fissando però degli obiettivi per l’Ente da raggiungere perché il debito va comunque pagato. 

Altri numeri spiegano il disastro riscossione. Dalle multe, per esempio, circa 802 milioni di residui a fine 2019 il Comune incassa 14,5 milioni l’1,82%, mentre la Tari - la tassa sui rifiuti - non riscossa è di 905 milioni a fronte di entrate per 77 ovvero l’8,53%. Stesso discorso per l’Imu, l’imposta che colpisce i proprietari di immobili: i crediti per Imu non riscossa ammontano a 236 milioni di cui la parte che storicamente il Comune riesce a riscuotere è di circa 11 milioni cioè il 4,79% dei crediti iscritti al Bilancio. Ed è corsa contro il tempo in queste ore per non far decadere il credito. Infatti, Palazzo San Giacomo è al lavoro per spedire la bellezza di 20.500 plichi di «avvisi di rettifica di accertamento Imu e Tasi». Si è affidato una ditta privata per la spedizione - perché mancano i messi comunali - e deve sborsare per la spedizione la bellezza di 133 mila euro. Oltre al danno la beffa. 

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Come si compone il debito da 2,7 miliardi al netto dei residui attivi che vanno nella voce di bilancio “disavanzo di amministrazione”? C’è il debito storico frutto del commissariamento per il sisma del 1980, quello dei rifiuti che risale a 20 anni fa e per la bonifica di Bagnoli che vale complessivamente 300 milioni. E quello con Cassa depositi e prestiti. Con la scarsa capacità di riscuotere e le regole contabili che bloccano la spesa il Comune deve accendere mutui con Cdp - sono circa 700 per un valore di 2 miliardi - per erogare servizi. La compagine societaria di Cdp è composta dal Mef per l’84%. Vale a dire che il Comune è indebitato con il Ministero delle Finanze, lo stesso che dovrebbe aiutare Napoli a risollevarsi. Il tasso di interesse dei mutui con Cdp è fuori mercato è tra il 4 e il 5%. Se calasse di mezzo punto ci sarebbero risparmi per 140 milioni. Se il tasso fosse del 2% i risparmi sarebbero la bellezza di 800 milioni. Si dimezzerebbe il debito. I mutui con Cdp si estingueranno soltanto nel 2044. 
 

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